
di Eros Barone
La figura di Mario Rigoni Stern, scrittore di Asiago morto nel 2008 all’età di 86 anni, è legata indissolubilmente a quel capolavoro della narrativa basata sulle memorie di guerra, che è “Il sergente nella neve” (sottotitolo: “Ricordi della ritirata di Russia”). Il racconto, scritto tra il 1944 e il 1945 e pubblicato nel 1953, si divide in due parti, “Il caposaldo” e “La sacca”, e narra le vicende dell’autore, sottufficiale degli alpini, impegnato sul fronte russo e successivamente nella terribile ritirata dell’inverno 1942-1943. La prima parte descrive la guerra di posizione, scandita dai riti caratteristici della vita militare: il rancio, la posta, gli sfoghi nostalgici tra i commilitoni sui paesi di provenienza, il cameratismo, la pulizia delle armi. Spiccano i volti di tanti compagni che via via si andranno sempre più assottigliando, ognuno còlto in un particolare atteggiamento o attraverso un’espressione dialettale, come Giuanin, la cui ricorrente domanda: “Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?”, è il ‘Leitmotiv’ del libro. In questa parte del racconto, accanto alle descrizione del paesaggio, la pianura russa dominata dal “Generale inverno”, più severo e incombente che mai, prendono spesso risalto squarci di altre realtà, come quella lontana e familiare delle vallate alpine e quella della stessa terra russa, quale si indovina sotto il manto uniforme della neve, e tanto simile all’altra nel mondo contadino che la pòpola. Quando giunge l’ordine della ritirata, quel microcosmo militare fatto di cose povere e di sentimenti semplici diviene quasi oggetto di un assurdo rimpianto: “Dalla trincea sentivo i passi degli alpini che si allontanavano. Erano vuote le tane. Sulla paglia che una volta era il tetto di un’isba giacevano calze sporche, pacchetti vuoti di sigarette, cucchiai, lettere sgualcite: sui pali di sostegno erano inchiodate cartoline con fiori, fidanzati, paesi di montagna e bambini”. Continua a leggere →
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