La questione dell’unità nazionale

di Eros Barone  

L’Italia sabauda non era la vera Italia, lo Stato nazionale non ha alcuna legittimazione etica e culturale e la rappresentazione del Risorgimento incentrata sulla classica triade ‘Vittorio Emanuele II-Cavour-Garibaldi’ e codificata a livello scolastico dai manuali e dall’insegnamento della storia, è falsa. Con queste affermazioni un ministro della Repubblica, Roberto Calderoli, ha espresso, nel corso di un’intervista televisiva, il suo contributo alla celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. In realtà, simili prese di posizione dimostrano che la questione dell’unità nazionale sta diventando nel nostro paese la questione più importante e più urgente. In nessun altro paese sarebbe concepibile che un ministro si dissoci in maniera così plateale dalla celebrazione della nascita dello Stato che è chiamato a governare.

   Ma proviamo a riflettere sul senso della critica, per la verità tutt’altro che nuova e originale, mossa a quella rappresentazione, ‘ça va sans dire’, in pari tempo oleografica, retorica e agiografica. Dovrebbe essere evidente, infatti, che il contesto narrativo in cui siffatta rappresentazione si colloca è quello che lo storico Eric Hobsbawm ha definito come ‘invenzione della nazione’, laddove tale sintagma pone in risalto la funzione pedagogica, progettuale e identitaria che il ceto politico post-unitario assegnava alla costruzione di questa immagine del Risorgimento. La filosofia politica dei ‘padri della patria’, se da un lato mirava a celare i contrasti ideologici ed economici che segnarono le lotte per l’indipendenza nazionale, dall’altro, delineando il Risorgimento come il prodotto di una ‘concordia discors’ fra democratici e moderati, puntava a porre le basi storico-morali di una comunità, il ‘popolo-nazione’, che definisse i confini entro cui potessero svolgersi sia il conflitto fra le differenti ideologie sia lo scontro fra i diversi interessi. In questo senso, se si pongono a confronto la grande saggezza politica che caratterizza il ‘topos’ retorico dell’unità nazionale e la facile ironia dissacratoria degli intellettuali cosiddetti ‘apoti’, non vi è alcun dubbio che la prima meriti di essere considerata intellettualmente, politicamente e moralmente superiore alla seconda.

   Del resto, la polemica sull’unità d’Italia non desta particolare meraviglia se si considera che i traumi storici che il nostro paese ha vissuto, dalla “morte della patria” al secessionismo rampante, insieme con la crisi degli Stati nazionali, hanno oscurato a tal punto la consapevolezza del valore rappresentato, nella vita dei popoli, dalla costruzione dello Stato unitario, che è diventato difficile riconoscere, anche solo da un punto di vista puramente costituzionale, il nesso inscindibile tra lo Stato e i diritti e si tende a credere che il godimento effettivo degli uni passi attraverso il deperimento, se non l’abolizione, dell’altro. Il marxista Antonio Labriola, il quale  asseriva che «noi siamo vissuti dalla storia», non si sarebbe quindi meravigliato delle provocazioni di Calderoli e le avrebbe giudicate come lo spurgo di un processo di lunga durata determinato da cause oggettive e da scelte soggettive. In realtà questo processo non è per nulla ineluttabile e non sta scritto nel libro del destino che il caos di Behemoth debba prevalere sull’ordine di Leviathan; parimenti, non è affatto dimostrato che “tutto ciò che è regionale è razionale e tutto ciò che è razionale è regionale”; infine, occorre considerare che la nazione non è solo un’invenzione, ma ha anche una base materiale nell’esistenza di un mercato nazionale e che quest’ultimo, in una fase che vede entrare in crisi la globalizzazione e scatenarsi le contraddizioni economiche del mercato mondiale, è destinato ad acquistare un’importanza crescente. In conclusione, un patrimonio grande e prezioso come quello del Risorgimento e della conseguente unità nazionale non può essere posto in discussione dalle sparate dei nostalgici del dominio austriaco o di quello borbonico, ma solo dall’offuscamento e dall’indebolimento della coscienza storica.

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