Fabio Brotto

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Fabio Brotto, nato nel 1950, vive a Treviso, dove risiede dal 1986. Formatosi nella FUCI veneziana, nel 1972 è stato membro del Consiglio Centrale. Nel 1974 ha partecipato alla redazione del documento sul divorzio che portò alla soppressione del gruppo di Venezia da parte dell’allora Patriarca Albino Luciani. Laureato in filosofia all’Università di Padova nello stesso 1974 con una tesi sulla gnoseologia di Dewey, ha insegnato lettere nei licei. Negli anni più recenti si è interessato alla teoria mimetica di René Girard e all’antropologia generativa di Eric Gans. I suoi pochi scritti sono quasi tutti rintracciabili nel sito web Bibliosofia (www.bibliosofia.net), da lui fondato. Padre di un ragazzo con autismo, è presidente di Autismo Treviso onlus.  Non ama i Beatles. Ama Haydn.

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mail: brottof@libero.it

27 pensieri su “Fabio Brotto

  1. Fabio Brotto fa molto bene ad amare Haydn e non i Beatles.
    I Beatles e la loro musica sono merce; Haydn no: è pura gioia dello spirito.

  2. Io amo Haydn, ma non disprezzo una parte della musica moderna, più gli Who dei Beatles, e più Marisa Monte e il jazz che il troppo ciarpame. Sono felice di trovare una persona che ha studiato René Girard, uno studioso così tanto straordinario da essere marginalizzato, almeno in Italia.

  3. Piacere di fare la tua conoscenza. Sì, è vero, Girard è stato posto in un angolo in Italia, soprattutto nelle università, ma io credo che il suo pensiero stia operando in profondità.

    1. Lo spero davvero. Da parte mia cercherò di farlo conoscere quanto più è possibile, sono uno dei pochissimi ad aver letto Giuseppe Petrelli (diffidare da ciò che si trova su web, a parte Introvigne), un autore protestante eterodosso (meglio forse definirlo cristiano antidenominazionale), che ha un percorso diverso da Girard, ma una profondità simile.

  4. Sono un’appassionata di René Girard. Leggendo anni fa una citazione di Vattimo in Credere di credere mi sono incuriosita è mi sono procurata subito tutti i libri di Girard che ho potuto trovare. Su Internet, allora non c’era niente, solo qualcosa in inglese che fortunatamente potevo leggere. Adesso cerco di tenermi aggiornata su quanto riguarda Girard. Preciso che sono un’insegnante di filosofia nei licei, ora in pensione. Devo dire che Girard mi è sembrato l’unico pensatore di mia conoscenza che oggi presenti una teoria generale (nessuno ne ha più il coraggio ovviamente) e rivoluzionaria, senza preoccuparsi dei milioni di distinguo, di cavilli (pseudo)filosofici che oggi impacciano ogni discorso accademico o no. Tanti grossi nomi sono tali per aver costruito grattacieli di parole intorno a un’ideuzza piccola piccola…e snobbano un pensiero ampio, complesso e tutto sommato molto coerente, come quello di Girard. E quello che mi piace di più è che non riverisce i mostri sacri (!), ma dice quello che pensa con molta libertà. Si può capire che non piaccia a tutti, particolarmente a quelli che pensano di incarnare la Filosofia. Per me Girard è un genio.

    1. Hai perfettamente ragione . L incontro con Girard è lo stimolo migliore che uno possa ottenere x continuare certe ricerche senza paraocchi!

    1. Non solo ha assestato un magnifico colpo
      ma è lo stimolo migliore che può coinvolgere
      molte persone ed aprire gli occhi alla cosidetta gente stantia . Me ne sono accorto
      ad un discorso che ho fatto al Cts. Trento

  5. Voi filosofi insegnate a prender sul serio l’antropologia morfogenetica di Girard e reputo importanti i vostri contributi, salvo poi ammettere che Girard non è un antropologo e che chi, fra gli antropologi lo detesta, ha le sue logiche ragioni

  6. Proprio perchè riesco ad apprezzare Girard nonostante l’ostracismo solitamente riservatogli in ambito antropologico, disinnesco con premura la potenziale “reciprocità violenta” che il termine “detestare” di per sé fa circolare.
    Ho molto rispetto per i girardiani ed il mio cruccio onestamente è non avere il tempo per seguire il gigantesco dibattito attivatosi sin dalla pubblicazione di “La violenza e il sacro”. Ed, a dirla tutta, del tempo non trovato faccio talvolta una colpa agli stessi antropologi che ‘sparlano’ di Girard. Mi è capitato ad esempio, non molto tempo fa, di invitare due antropologi alla lettura della sera monografia “Kings of disaster” dell’africanista Simon Simonse proprio perché sospendessero il loro giudizio aprioristico. Così come, questi giorni, farei notare loro che cose dette dal nostro negli anni Settanta prefigurano sostanzialmente la memetica
    Per il resto, non posso trascurare che il mio innamoramento di Girard subito dopo la laurea mi abbia, per un certo tempo, bloccato la crescita come aspirante antropologa. Incastrare differenti fatti etnografici in un unico sistema, non è, a mio avviso, fare seriamente antropologia. Mi sento semplicemente molto più appagata nel leggere, a proposito di base sacrificale di alcune società, l’opera dell’africanista de Heusch (molto arrabbiato con Girard), così come quella del sanscritista Jan Heesterman (anch’egli espressosi contro il “generative scapegoating). Un discorso molto lungo…
    Rinnovo il mio rispetto

    1. In realtà l’unico modo di disinnescare la “potenziale reciprocità violenta” sarebbe quello di presentarsi con nome e cognome, perché io non amo colloquiare con anonimi (detto così va meglio?). Quello che posso qui dire sulla questione (che è molto complessa) è che il pensiero di Girard è antropologia filosofica, non antropologia culturale. Il fatto che si usi “antropologia” senza aggettivi espone a molte ambiguità e confusioni. E infatti Girard inizia come critico e teorico del romanzo. Io peraltro, pur trovando ovunque segni di una mimesi pervasiva, e considerandola un elemento essenziale dell’umano, non concordo in tutto con Girard. Sul piano filosofico, e anzitutto sull'”origine sacrificale assoluta dell’umano”. Ma, appunto, c’è di mezzo la metafisica, l’interpretazione, ecc. ecc.

      1. Caro Brotto
        intanto grazie x il lavoro su Generativa.
        Per quello che mi riguarda vedo si un antropologia con aggettivo -filosofica –
        ma che può diventare aiuto alla culturale

  7. Il non volermi mettere in mostra è un mio limite. Mi dispiace la cosa la irriti così tanto. Naturalmente, se lei crede, posso presentarmi con nome e cognome in via privata.
    Assolutamente d’accordo sul fatto che sarebbe necessario evitare di utilizzare il termine “antropologia” senza aggettivi. Tuttavia, non rendiamo cosa da poco che è Girard ad entrare nel merito dell’antropologia culturale: eccome! Nessun antropologo culturale si sognerebbe di scaldarsi così tanto se le cose stessero diversamente. La figura di Girard costituisce parte integrante del dibattito neo-frazeriano. Tutti sappiamo che da critico e teorico del romanzo si è trasformato in teorico della tragedia antica ripassandosi la “Scuola antropologica di Cambridge”. La sua attenzione per il ruolo generativo del meccanismo vittimario, non da altro parte che dal “complesso del pharmakos”

  8. Non si tratta di “mettersi in mostra”. Altrimenti tutti coloro che intervengono in uno spazio pubblico palesando la propria identità sarebbero degli esibizionisti. Poiché i blog come questo sono leggibili da tutti, l’anonimato, puro o sotto mascheratura di nick, mi sembra deprecabile. Poi, ognuno faccia le sue scelte.
    Circa la genesi del pensiero di Girard occorre rilevare che il percorso inizia con la teoria del romanzo e la critica del romanticismo, poi con Dostoevskij. Vengono poi il Freud di “Totem e tabù” e Frazer, ecc.: è un calderone. E, tra l’altro, la teoria mimetica e quella del capro epiatorio sono due elementi differenti e indipendenti. Preciso che io non mi considero un girardiano, nemmeno “eterodosso”, come non mi considero gansiano, ma trovo in questi pensatori alcune prospettive che hanno una grande forza ermeneutica e muovono il pensiero.

  9. “Deprecabile” mi sembra esagerato. Ho specificato che è un mio limite…
    Certo, è utilissimo ricordare, e ribadire, che il pensiero di Girard prende le mosse dalla critica letteraria. Questo è molto chiaro anche a chi -come me- intraprende il percorso girardiano a partire da “La violenza e il sacro”. Non sarei però così perentoria nel dire che la teoria del capro espiatorio è indipendente dalla teoria mimetica; direi piuttosto che ne costituisce un organico completamento nell’analisi del processo di ominizzazione. Il vedere la stretta correlazione fra le due teorie, o il non vederla, molto probabilmente dipende dalla differenza dei nostri due rispettivi indirizzi disciplinari. Il bello dell’opera di Girard direi che sta proprio nel prestarsi a differenti approcci, a seconda degli interessi.
    Per quel che mi è dato sapere, fra i girardiani, il più “ortodosso” è
    Lucien Scubla: perlomeno fra quelli che si occupano del
    fenomeno del capro espiatorio correlato alla regalità.
    Ancora non ho avuto modo di leggere Gans. Nè potrò farlo a breve. Non dubito però che dica cose molto interessanti e che interessante sia il Suo stesso dialogo con l’antropologia generativa

    1. Eric Gans ha portato elementi nuovi in un campo che necessita di più elementi di diversa sfumatura. Che il percorso girardiano
      possa partire da molte fonti e confluire in molti fiumi è logico . Resta sempre la disvelazione della violenza col rifiuto di Cristo di essere vittima. .Non lo capiamo perché guardando un crocefisso laviamo le nostre coscienze dal non aver capito le sue parole

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