Uccidere in nome di Dio

p111_0_01_04 (2)Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace.  Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e ti servirà.  Ma se non vuol far pace con te e vorrà la guerra, allora l’assedierai.  Quando il Signore tuo Dio l’avrà data nelle tue mani, ne colpirai a fil di spada tutti i maschi;  ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda; mangerai il bottino dei tuoi nemici, che il Signore tuo Dio ti avrà dato.  Così farai per tutte le città che sono molto lontane da te e che non sono città di queste nazioni. Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perché essi non v’insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio. (Deuteronomio 20, 10-18)

Quanti pronunciano oggi e scrivono le parole «non si può uccidere in nome di Dio»! Un’affermazione assoluta di questo principio, tuttavia, non si trova in tutta la Bibbia, e nemmeno nella tradizione cristiana maggioritaria. Gesù, del resto, non l’ha mai pronunciata. E infatti i cristiani delle diverse confessioni nel corso di duemila anni di storia hanno spessissimo ucciso nel nome di Dio, bruciato eretici, ecc. ecc. E in molte pagine dell’Antico Testamento Dio comanda espressamente ai suoi fedeli di uccidere. La Bibbia contiene passi non meno violenti di quelli che da parte di alcuni  vengono estrapolati dal Corano per denunciare l’Islam come religione di guerra di contro agli altri due monoteismi, che sarebbero (attualmente) di natura pacifica. Da un certo punto di vista, non vi è nulla di più divertente dei salti mortali spiccati da ermeneuti, commentatori e teologi per giustificare, con criteri storicisti e dunque relativisti, l’esistenza nella Bibbia di passi di violenza inaudita, in cui Dio ordina stermini ed esecuzioni capitali. La questione è dunque una questione di lettura e di interpretazione: la lettera uccide. Ma riguarda anche l’attualmente. Perché se una religione come il cattolicesimo appare oggi di natura pacifica, tale non appariva  una volta: e si rivela quindi come soggetta ad evoluzioni, e involuzioni: dunque alla storia e al flusso temporale: al divenire. E, se la lettera uccide, ogni interpretazione necessariamente la de-assolutizza, e apre le porte al relativismo, bestia nera del cattolicesimo. Qui si incontra una contraddizione che per essere pensata radicalmente e rigorosamente richiederebbe una riflessione teologica di una potenza e di una profondità tale per la quale nessuno dei teologi di questi tempi mi sembra avere le penne.

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