Sui professionisti dell’autismo

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Per lavorare seriamente e produttivamente con le persone con autismo, e sulle persone con autismo, ai professionisti occorrono qualità che spesso a molti di loro mancano, e talvolta purtroppo mancano quasi tutte. È questo infatti un lavoro molto impegnativo, che può essere anche estremamente complesso e difficile, e che ti mette a confronto con modi di essere, di agire, e di pensare che possono essere anche molto, molto lontani da quelli comuni. Con i quali tu però non devi perdere il contatto, perché per i primi decenni della sua vita l’autistico è inserito in un contesto familiare. Ad un professionista nell’autismo è richiesto un forte e costante impegno intellettuale, egli dovrebbe ogni giorno ripetere come un mantra «scio me nihil scire», so di non sapere nulla. Gli autistici sono inizialmente bambini, ovviamente, e su questa fase della vita si concentrano oggi quasi tutti i progetti, gli interventi, e quasi esclusivamente la ricerca: e su questa fase dell’età vive e guadagna quasi tutto il professionismo attuale. Come in ogni settore lavorativo, tuttavia, anche qui la naturale spinta a cui il professionista è sottoposto è quella di adagiarsi nella routine, nell’applicazione meccanica dei propri schemi operativi a situazioni umane che sono non solo variegate, ma variabili nel corso del tempo, ad adottare una sorta di dogmatismo che infine, sottraendosi al pensiero critico, trasforma la scienza in ideologia. E questo balza agli occhi con particolare evidenza nell’ambito delle pratiche cognitivo-comportamentali come l’ABA. Le quali, intendiamoci, spesso sono l’unico strumento affidabile di cui si dispone, ma richiederebbero da parte di chi le mette in opera una grande flessibilità e capacità di adattamento al soggetto con cui si lavora. Si tratta infatti di un soggetto umano, che può essere anche molto poco dotato dal punto di vista intellettivo, ma cresce anche lui, e ad un certo momento non è più un bambino, e va trattato e compreso come adolescente e adulto. E che inoltre ha una mente con un suo funzionamento particolare, che andrebbe compreso nella sua individualità e non riportato a schemi semplificati e riduttivi. E che infine, come tutti gli umani e a dispetto del significato originale del termine autismo, è umano in quanto immerso in un tessuto di relazioni, al di fuori delle quali non è neppure pensabile come esistente. Dall’adolescenza in poi gli interventi di ogni natura scemano rapidamente, e l’interesse dei professionisti scema anch’esso. Ed essi non sono neppure molti: quanti sono in una singola provincia italiana i veri esperti di autismo a cui una famiglia possa rivolgersi con la sicurezza che il suo caso riceverà attenzione e troverà soluzioni per i molti, e spesso gravissimi, problemi che la affliggono? Generalmente, in una singola provincia abbiamo pochissimi professionisti di valore, talvolta uno solo. E costoro ovviamente seguono una infinità di casi. Si tratta di una situazione che nei prossimi anni, nonostante le piccole iniziative che sorgono qua e là a macchia di leopardo sul territorio, diventerà insostenibile. Quando arriverà il momento in cui per tutte le famiglie la maggiore età del figlio o della figlia con autismo non rappresenterà la soglia di un buco nero?

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