Nel Settecento giunse un momento, anzitutto in Inghilterra, in cui la vita media dei nobili, già più lunga di quella dei contadini, fece un salto in avanti incredibile: la differenza divenne di 25 anni, un quarto di secolo. Merito dei progressi della medicina, e delle pratiche igieniche e sanitarie nuove, tra le quali risalta la vaccinazione antivaiolosa, di cui fruirono i più abbienti. Le distanze tra le classi sociali crebbero. Mi fanno ridere (amaramente) quelli che prevedono per i prossimi decenni una vita media lunghissima indiscriminata per l’intera popolazione, in grado di mettere in crisi il welfare degli Stati. Welfare che già in questi anni da noi è in crisi. Dove l’economia va male, alla fine anche la vita si fa più corta. Dove le differenze sociali aumentano, anche se la ricchezza generale di una nazione cresce, si allarga anche la distanza tra i ceti: anzitutto nel numero di anni che si passano in questo mondo.
E quelli che per i loro figli gravemente disabili sperano un futuro degno di un essere umano? Illusi, se non sono ricchi e in grado di pensarci con le proprie forze. Già ora mancano risorse per l’oggi e piani e investimenti per il futuro, e nessuno è in grado di dire nemmeno quanti autistici gravi adulti vivano in Italia in questo momento. E io, che sono poco propenso al sogno e al vaneggiamento, prevedo per la folta schiera dei disabili gravi, tra i quali è mio figlio Guido, per quelli che non possono vivere senza un’assistenza continua e ravvicinata 24 ore su 24, una vita adulta difficile, difficilissima, forse indegna di un essere umano.
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