La cura del bambino autistico (2)

Ovviamente, per Martin Egge gli approcci all’autismo si dividono in due grandi categorie: non psicoanalitici e psicoanalitici. Parlando dei primi, in termini liquidatori, l’autore afferma: “Il comune denominatore di queste terapie consiste nell’applicazione di una tecnica (di cui lo specialista è il detentore) a un oggetto da ‘curare’, il bambino. In quest’ottica il bambino psicotico o autistico è assimilato al disabile o al portatore di un deficit intellettivo e nella terapia viene sottolineata la mancanza o il difetto da eliminare, il tutto a scapito della soggettività del bambino stesso” (28)

Qui è evidente che molto si gioca sul concetto di disabilità. Se la disabilità è la non-abilità a compiere atti fondamentali per la vita sociale e per la stessa sopravvivenza fisica elementare dell’individuo, io conosco poche persone in buona salute fisica più disabili di mio figlio e degli altri bambini che frequentano l’Orto di San Francesco. E anche il concetto di soggettività non è così sicuro e scontato come potrebbe apparire a prima vista. Poiché ha un retroterra filosofico, prima che psicoanalitico, estremamente ramificato e vasto e nebuloso. Con differenze enormi tra Occidente e Oriente. Come osserva lo psichiatra Jean-Michel Oughourlian in The Genesis of Desire (Michigan State University Press 2010), la psicoanalisi parte da un’idea di soggetto autonomo, esistente per sé, che è l’idea tradizionale della filosofia classica occidentale. Ma questa idea di soggetto è un’ idea culturale, e storicamente determinata, e non ha la natura del dato scientifico.

Egge liquida, tra gli altri,  l’approccio TEACCH, anzitutto per il fatto che in esso non si farebbe distinzione “tra disturbi disfasici del linguaggio, ritardo dell’acquisizione del linguaggio a causa di qualunque sindrome organica e autismo. Tutto entra nello spettro dell’handicap” (35)
E lamenta: “Dove sono andate a finire tutte le ricerche psicoanalitiche e psicodinamiche tese a isolare un certo gruppo di bambini che possono trarre notevoli miglioramenti da un certo trattamento o, nel caso dei bambini più piccoli o più gravi, da un lavoro preliminare che li sostenga e li conduca verso una maggiore apertura al mondo? Il lavoro sottile, gli sforzi per comprendere e sostenere questi bambini in difficoltà, apparentemente chiusi in se stessi, sembra fuori moda. La risposta moderna è pratica: si chiama addestramento”. (36)

Per alcune pagine Egge passa in rassegna i vari approcci, psicoanalitici e non, alla questione dell’autismo, e le differenti interpretazioni del medesimo. In realtà il punto teorico fondamentale, sul quale il lavoro del concetto dovrebbe anzitutto fare un’opera di pulizia, è la difficoltà di isolare un autismo puro. Il singolo soggetto autistico è sempre un individuo che porta in sé una costellazione di deficit e di problematiche. Anzitutto un’insufficienza mentale, più o meno severa. Quella autistica è dunque una condizione di pesante disabilità, sulla quale (e a causa della quale) possono certamente inserirsi forme di disturbo mentale di secondo grado, psicosi, ecc., come può essere per un cieco, in cui l’ handicap, con le difficoltà esistenziali che produce, faccia sorgere nevrosi, ecc. La cecità determinata dall’autismo è una cecità sociale, e questo può innnescare successivi disturbi del comportamento (ma il comportamento non è  cosa totalmente altra rispetto alla mente di chi si comporta). Possiamo osservare come l’attuale arretratezza generale del trattamento dei soggetti autistici si verifichi anche nella scarsità di studi sui comportamenti problematici delle persone con autismo in relazione ai loro disturbi psichici specifici. Insomma: qui occorrerebbe aprire un settore di studi sui disturbi pischici dei soggetti autistici, e non limitarsi, come pare accada, solo alle comorbilità di tipo organico. Ma questo richiederebbe da un lato l’abbandono totale del concetto dell’autismo in sé come forma di psicosi (cosa che la psicoanalisi ed Egge non fanno assolutamente), dall’altro un’ apertura concettuale di coloro che pensano di poter risolvere tutto con il semplice apprendimento, da parte dei soggetti autistici, di schemi di comportamento socialmente accettabile. L’addestramento (training) è molto importante per il raggiungimento di autonomie anche elementari, ma certamente non elimina tutti i problemi delle persone con autismo, anche di quelle con più grave ritardo mentale, che sono moltissime. Rimarrà sempre una sfera opaca di non-comunicazione, di sofferenza, di disagio negli autistici e nelle persone che vivono con loro. Questo aspetto, con tutto ciò che comporta, mi sembra attualmente misconosciuto o sottovalutato.

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17 pensieri su “La cura del bambino autistico (2)

  1. Certo che è un significante. Ma non è un’astrazione pura. Che all’interno di una concezione determinata culturalmente il significante per eccellenza sia il phallus non è certo privo di significato.

  2. Tutte le concezioni sono determinate culturalmente, l’appello alla scientificità anche.
    Il fallo è il significante per eccellenza non in termini di priorità rispetto a qualcosa d’altro non riconosciuto, ma perchè rimanda specificatamente al concetto di mancanza, che secondo la teorizzazione lacaniana è l’essenza della struttura del soggetto e il rapporto del soggetto con tale mancanza ha a che fare anche con il sintomo.
    e la mancanza con cui il bambino nell’edipo ha a che fare è innanzitutto quella della madre, mancanza essenziale, per approcciare all’Altro come desiderante- dunque barrato.
    ma comunque è lunga e non da spiegare. tocca attarversarla, tramite lo studio dei testi e tramite l’esperienza clinica.

    mi chiedo come mai ci si soffermi sul maschilismo della psicoanalisi. non riesco a capire dove sia la questione.
    si può interloquire sull’oggetto di studio e di intervento, non su una questione morale e/o valoriale, almeno nella clinica ritengo questo essenziale.

  3. Certo che la scienza è essa stessa – come configurata nell’Occidente in cui noi siamo – determinata culturalmente. Nei miei post sul libro di Egge il “maschilismo” è solo una noterella a margine. La sostanza è ben altro: è che la psicoanalisi come visione (visione che in Lacan e nei suoi seguaci produce un gergo che riproduce, su un piano di minor rigore concettuale, quello di Heidegger giustamente criticato da Th. W. Adorno) si costruisce una sua immagine dell’autismo che non ha nulla a che fare con la realtà del medesimo, e causa disastri umani. Un Altro Persecutore possiede lo stesso livello di realtà dell’essere maligno espulso da uno sciamano.

  4. Non sarei d’accordo con la sua visione. Per un motivo. Perchè propone anni di studi e una grande mole di letteratura come un fascio di menzogne.
    Io non credo che qui si stia sul vero/falso.
    Ad esempio la mia formazione è psicoanalitica ma faccio esperienza di contesti in cui il modello è senz’altro quello dell’apprendimento di un “saper fare”, con grandi risultati. E non ho alcun problema a dire che dentro l’obiettivo di raggiungimento di autonomie e competenze, queste tecniche comportamentali rispondano pienamente alla domanda dell'”utenza”.
    Ma appunto dentro un obiettivo del “saper fare”.
    La psicoanalisi, dal mio punto di vista (e sono la prima a subirne la variegata coloritura, che lo stesso Lacan ha più volte condannato) non ha quel tipo di obiettivo, nella clinica. Può concorrervi. Luoghi come L’antenna a cui Egge fa riferimento probabilmente ripropongono metodologie di approccio simile ma con letture differenti. E perchè accanirsi così?
    Penso che il tutto si riduca inesorabilmente dentro un’impostazione colpevolizzante, che è ben lontana dal proposito che i testi lacaniani e freudiani ad esempio si pongono. La questione della colpa si confonde troppo spesso con quella dell’origine, della causa.
    Il sentimento di colpa è un dito puntato contro ai genitori.
    Questo è drammatico. e assolutamente poco utile.
    Io ho sempre letto Lacan dentro quest’ottica: il rapporto del soggetto con il linguaggio.
    Non si tratta di un tentativo “politico” di sfuggire dalle aggressioni di ipotesi alla Bettelheim..
    ci si trova di fronte ad un campo di interevnto complesso, che non ammette sconti. Ma la psicoanalisi, come anche l’impostazione cognitivo comportamentale non propongono ipotesi? L’efficacia è sul caso.
    A me interessa capire quando e perchè una metodologia risulta efficace, e per chi.
    L’adesione acritica ad appartenenze (dalla scienza esatta allo sciamanesimo) penso sia sempre abbastanza accecante.
    Grazie dello scambio,
    ho letto con interesse la sua critica al testo di Egge.

  5. Grazie a Lei, Ilaria.
    Perché accanirsi così? – mi chiede. Perché la psicoanalisi si è ostinata per decenni a non riconoscere l’autismo per quello che è: non una psicosi ma una disabilità. E lo ha fatto, a mio avviso, per una cecità dovuta ai suoi mitologemi fondativi. Questa è la mia tesi, che ho delineato in riferimento particolare al testo di Egge. Il quale insiste sulla natura di “difesa” psicotica dell’autismo, una visione falsa, che comporta conseguenze gravissime sia per gli autistici che per le loro famiglie. Bettelheim è un caso estremo, ma tutta la psicoanalisi di fronte all’autismo “infantile” è stata cieca e ostinata. La mia spiegazione è semplice: essa ha operato una chiusura autodifensiva, che l’ha lasciata infine totalmente sconfitta su di un terreno però cosparso di cadaveri, purtroppo.
    Ora, tutta la produzione letteraria (mi piace chiamarla così) psicoanalitica sull’ “autismo infantile” è esattamente un fascio di menzogne. Che lo sia la psicoanalisi nel suo insieme non lo dirò. L’ateo che sostiene che le religioni che durano da millenni siano fasci di menzogne nonostante una produzione teologica sterminata, e le molte cose buone da esse derivate, forse mi potrà capire. Naturalmente, quest’ultima è solo una metafora.

  6. Leggo solo adesso questi commenti, dopo che ne ho lasciato uno su un’altra sezione della Sua recensione sul libro di Egge. Senza perdermi in sofismi o metafore rispetto a cui Lei pare abituato a districarsi, mi dichiaro stupefatto di come si possa ritenere, con la rigidità che Lei dimostra, che le vite, gli studi, il lavoro di moltissime persone, possano essere liquidati dalla sua idea che siano delle menzogne. Lei dunque pensa che sia possibile che medisci, psicologi, scienziati, che la pensano diversamente da Lei, o siano stupidi o siano dei furfanti che raccontano panzane, non si capisce poi a quale scopo. La invito ad essere più tollerante. Suppongo che Lei conosca Voltaire. I suoi giudizi sono scagliati con una volontà più aggressiva che costruttiva, come invece sarebbe opportuno che sia, e la mia paura è che il Suo parere possa influenzare qualcuno che avrebbe bisogno di aiuto più che di sentenze. Sempre cordialmente- Marco Novali.

  7. In linea di principio, gentile dott. Novali, la condivisione di dottrine e principi, o di interi ordinamenti statuali o di idee di società da parte anche di milioni di persone non implica affatto che non si tratti di menzogne: basta pensare al marxismo-leninismo applicato in Unione Sovietica ecc. Quindi la condivisione e l’impegno generoso da parte di molti psicoanalisti non bastano a garantire la verità e la validità della dottrina. Dal punto di vista filosofico, poi, l’essere “costruttivi” viene sempre dopo la “distruzione” (pars destruens) delle dottrine che si reputano erronee. Non sono certo il solo a pensare che l’approccio psicoanalitico all’autismo sia stato fondato su un errore di interpretazione madornale, e abbia portato fallimenti e infelicità. E’ una idea oggi maggioritaria nel mondo. Dal mio punto di vista, è l’approccio del dott. Egge e di quelli come lui che non aiuta affatto le famiglie, in senso reale, essendo basato appunto su di un errore di fondo. Egge sostiene infatti, come io ho mostrato, che l’autismo sia una psicosi. Questo è un errore, come ritiene il “mainstream” della scienza contemporanea. Io sto con questo. Lei cita Voltaire, e fa male, perché Voltaire ha combattuto per tutta la vita contro quelle che lui riteneva essere le dottrine negative in quanto erronee (in particolare le “menzogne dei preti”). Io sono tollerantissimo, in quanto nel mio blog lascio spazio ad interventi come il Suo e come quelli, che io non condivido affatto, del mio amico marxista prof. Eros Barone.

  8. “Dal punto di vista filosofico, poi, l’essere “costruttivi” viene sempre dopo la “distruzione” (pars destruens) delle dottrine che si reputano erronee.” Questa sua affermazione è del tutto arbitraria, si tratta più che altro di una sua convinzione, ma niente di più. Può pure essere condivisa da molti, oppure moltissimi…
    Le faccio anche notare che in Germania negli anni ’30 il nazismo era il “mainstream”. Non le torna utile, ma è sempre un mio parere (che ammetto essere “avvelenato” dall’asprezza delle sue critiche), passare buona parte del suo tempo a dire “questo non va” e “incazziamoci”. Buona parte dei moderni scienziati, diversamente da lei, hanno da tempo abbandonato l’accumulo di sensazionali ricerche “scientifiche”, le quali ogni decina d’anni virano o strambano decisamente da una o dall’altra parte per sostenere o premiare con il bollino di “scientifico” una teoria che sia del tutto esaustiva sulla genesi dell’autismo. La “scienza”, in america, gonfia di farmaci i bambini iperattivi. La “scienza”, in Italia, è pronta, per pochi soldi, fama o posizioni di prestigio, a vendere un farmaco miracoloso piuttosto che un trattamento nuovo – salvo poi rivelare, dopo “nuovi studi scientifici” che il suddetto farmaco provoca chissà quali effetti collaterali. Esistono eminenti scienziati, fisici, biologi, che, sempre diversamente da lei, riconoscono che la scienza è in crisi, e non vi si aggrappano ad ogni costo. E’ solo questa l’intolleranza che le segnalo: al giorno d’oggi dare la parola a tutti non è più testimonianza di apertura mentale: la funzione dei media, e dei social network, ne sono prova costante. La sua pare una crociata contro gli infedeli: il prezzo della civiltà è arduo da pagare, ma se crediamo di poter avere sconti, allora tanto vale votare per Bossi.

  9. Lei non risponde alla questione sostanziale da me posta, e divaga, dimostrando una aggressività assai superiore alla mia, perché tende a scendere ad attaccarmi sul piano personale, come ogni lettore del blog può notare. Io non sostengo affatto che per principio ciò che pensa la maggioranza è vero, ho solo confutato la Sua affermazione che io mi sarei permesso di dichiarare fondata su di una menzogna l’opera di molte persone serie. Ciò detto, io non faccio alcuna crociata, ma certo combatto una pratica che si fonda sul considerare l’autismo una psicosi di origine relazionale. Questo è un errore, e a questo punto è anche una sciocchezza. La Sua posizione è chiara, ma non è affatto aperta ad una discussione seria. Lei avrebbe dovuto dire che l’autismo è una psicosi, e che le ricerche neuroscientifiche che evidenziano il contrario, cioè che è una disabilità, sono imbrogli. Cioè il contrario di quel che sostengo io. Lei non l’ha fatto, e quindi la Sua impostazione non è seria, e non merita che il discorso continui.
    Eviti ulteriori repliche che abbiano natura polemico-personale. Non sarebbero accolte qui.

    1. Temo di averla infastidita con la mia opinione. Mi rammarico, tuttavia, che lei non voglia continuare lo scambio di opinioni.

  10. Non è una questione di fastidio, nessuna opinione mi infastidisce, semmai può farlo il modo in cui è avanzata. Perché ci sia uno scambio significativo, e non una sterile polemica, occorre che vi sia chiarezza su alcuni punti di fondo, e sull’oggetto eventuale del contendere. Per come stanno le cose in questa botta e risposta, è evidente come questa chiarezza manchi (e non da parte mia).

  11. Senta, le cose non stanno proprio come continua a dire, e come vorrebbe tra l’altro che io dicessi. Il punto non può essere ridotto al manicheistico “psicosi/disabilità” su cui lei continua ad insistere. La sindrome esiste e va trattata. Tra i vari sintomi osservabili vi è una compromissione generale dell’intersoggettività. Quello che
    Egge promuove nel suo libro è il lavoro su questo punto, mettendo in secondo piano l’eziologia, che fra l’altro rimane pur sempre dubbia. Nessuno studio può dimostrare come mai le cartelle cliniche dei bambini autistici non evidenzino alcuna anomalia neurologica, proteica o quant’altro, tanne in rari casi dove il deficit si instaura a partire da un danno neurologico – incontrobattibile. Il testo edito dalla SINPIA “Linee guida sull’autismo”, il testo che generalmente guida gli psichiatri delle NPI, dice “è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo
    biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita”, ma non può indicare quale sia questa presunta base organica: “Le cause dell’Autismo sono a tutt’oggi sconosciute.”
    Ciò che io temo è che il trattamento dell’autismo guidato da un’ideologia scientista, che tende all’oggettivazione piuttosto che alla soggettivazione, si riduca (come riduzionista è il metodo scientifico per definizione) a un “addestramento” a determinate situazioni, cosa che può avere dei vantaggi in termini di comportamento, ma che a lungo andare, o venendo a mancare le condizioni protette create intorno al soggetto, mostrano i loro limiti, perchè lasciano il soggetto nella sua impossibilità di stabilire relazioni pacificate con l’altro. La bufala della comunicazione facilitata (su questo punto Freud sarebbe in accordo con lei) ne è una prova: senza il braccio dell’operatore, non si scrive più. Ad oggi, in generale, il futuro dei soggetti con diagnosi di SPS (=autismo) è generalmente fatto di istituzionalizzazione permanente, quando il sostegno dei genitori viene a mancare. La sfida, poichè infine di questo si tratta, è quella di poter aiutare i soggetti a poter fare qualcosa di autonomo nella propria vita, anche a costo di essere tacciati di non scientificità. Qui bisogna decidere quanto è importante essere scienziati.
    Dunque quei punti di fondo che lei vorrebbe chiarificare, a mio parere, non sono e non saranno mai chiari, poichè psicoanalisi e scienza sono discipline non sovrapponibili, ma bisogna essere disposti a lavorare anche in queste condizioni. Il motivo (dichiarato) della mia stizza è la leggerezza con cui lei elargisce giudizi sul lavoro altrui, sia pure in conseguenza di una sua presa di posizione, certo consapevole, ma che rischia di diventare “esclusiva”.

  12. Tuttavia ho il presentimento che la risposta che riceverà il mio commento sarà sullo stile tagliente delle precedenti, cosa che non mi rallegra affatto.

  13. Lei infatti insiste (e quando uno interviene con insistenza e accanimento in blog altrui, in cui si è ospiti, suscita qualche perplessità – ) ad accusarmi di leggerezza. Su questo piano non Le rispondo. Sul cervello degli autistici è ormai chiaro che le anomalie sono di funzionamento, non morfologiche – software, non hardware -, ma sul piano delle sinapsi e dei neuroni. La documentazione in materia è schiacciante. Insistere sulla psicosi è un errore. Gravissimo.

  14. Osservo che ci sono molte persone che invece di smontare le argomentazioni che non condividono, rimanendo su un piano di confronto corretto, cercano di insinuare sospetti sulla persona dell’interlocutore, non entrando nel merito davvero. Ho visto che ti attaccano soprattutto quando parli di autismo: tu non attacchi mai i tuoi oppositori sul piano personale, loro invece finiscono sempre per accusarti di qualcosa. Ma non preoccuparti, si squalificano da soli, e le loro argomentazioni sono sempre deboli davanti alle tue. Hai la mia totale solidarietà. In particolare sono d’accordo con la tua idea che non è il numero dei sostenitori, né il loro valore personale, in quanto tali, a fondare la validità di una dottrina.
    Un caro saluto, sperando di incontrarci presto a CF.
    Marini

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