AUTISMO COME DONO? Così definisce Greta Thunberg in un suo post su Facebook il 2 febbraio la propria condizione: “L’Asperger non è una malattia, è un dono”. Anche questo può far capire quanto sia profonda la voragine che divide, nel campo dell’autismo, i soggetti ad alto e altissimo funzionamento intellettivo da quelli a basso funzionamento. Greta ha una diagnosi, è nello SPETTRO dell’autismo. Come mio figlio Guido, che non parla e non comprende il discorso, ha un autismo severo, ed è all’altro capo dello stesso SPETTRO. Greta sa che lei un giorno morirà, che tutti i viventi sono mortali, che l’intero pianeta è mortale. E’ intelligentissima, e sorride raramente, nelle foto appare quasi sempre cupa, forse per l’alta consapevolezza delle cose. Guido non sa che i viventi muoiono, non sa che esiste la morte, è quasi sempre sorridente. Per lui “cambiamento climatico” è solo un suono. Per me la parola AUTISMO significa ben poco.
autismo
Un vuoto
Seduti per il picnic, sparo a me e a Guido una foto con la macchinetta retroversa, e colgo il suo movimento continuo anche da seduto. Rivolgo in me un pensiero, con varie implicazioni: caro Guido, dopo 20 anni di vita insieme, questo di sicuro posso dire: che per me resti un essere insondabile, di cui capisco forse l’1%. Chiunque sostenesse di “capirti” (io non lo sostengo, e penso che questo si possa estendere a molti nella tua condizione di autismo a basso funzionamento) azzarderebbe un’affermazione senza senso. Si potrà forse stabilire un rapporto con te, provare dell’affetto e percepire in te qualcosa di simile all’affetto quando tu dai un bacio, ecc., ma anche quando si riesce a trovare un modus vivendi, e si conoscono un po’ le tue modalità di agire e reagire, rimane fuori quasi tutto. Rimane fuori l’essenziale per gli umani, ad esempio, qualsiasi racconto. Non solo non ti posso raccontare una storia, ma non ti posso nemmeno chiedere “cos’hai fatto oggi?”, “Ti è piaciuta la gita?”. Tu non puoi raccontare nulla, non puoi dire nulla, e per te il racconto di un altro non ha senso, perché nessun discorso ha senso. La nostra reciproca comprensione di umani si fonda sulla possibilità di scambiarci parole sul passato comune, a cominciare dal minimo di informazione, del tipo “ho camminato molto e sono stanco”. E in te c’è quest’abisso vuoto, questa carenza abissale. Chi discute sulle differenze tra l’autismo a basso e ad alto funzionamento si affacci su questo abisso vuoto, e su tutte le sue conseguenze esistenziali, per favore.
Un ragazzo d’oro.
Mio figlio Guido, un ventenne autistico averbale, non ha mai raccontato una storia. Nemmeno nella sua forma germinale, come “oggi sono andato a scuola”. E non ha mai potuto ascoltare una storia. La sua mente è esclusa dal regno della narrazione, esclusa da una delle realtà fondamentali dell’umano. Invece Todd Aaron, il protagonista del romanzo di Eli Gottlieb Un ragazzo d’oro (Best Boy, 2015, trad. it. di A. Martinese, minimum fax 2018), non solo non è estraneo a quel regno, ma è la voce narrante della vicenda della quale è anche il protagonista.
Sono passati 41 anni dal momento in cui Todd è stato collocato dalla madre nel Payton LivingCenter, un villaggio che accoglie una popolazione mista di Cerebrolesi e Congeniti (questa la classificazione colà vigente), tra i quali molti autistici, come lo stesso Todd. Lui ora è un uomo maturo, che si è ben adattato alla vita ordinata del Centro, tanto da costituire un esempio per tutti i residenti, ed essere per questo chiamato un ragazzo d’oro. Ma l’arrivo di un nuovo operatore innescherà una serie di azioni-reazioni che porteranno alla vicenda narrata dalla voce di Todd. Il quale è autistico, e questo un lettore avvertito lo può afferrare sin dalle prime pagine. Dopo 41 anni Todd ricorda tutti i particolari del suo arrivo nel Centro, a cominciare dalla pioggia e dal vetro dell’automobile. Quando, all’ottava riga dall’inizio del romanzo, Todd dice “Eravamo seduti in macchina e io toccai il vetro del finestrino che era trasparente come l’aria. Dall’altra parte la pioggia esplodeva senza rumore e io mi spaventai” io, se anche non avessi saputo nulla del romanzo e dell’autore, avrei capito che il protagonista-narratore è autistico. La capacità mimetica di Gottlieb è molto forte, riesce a calarsi in una visione del mondo autistica molto più a fondo di Mark Haddon, l’autore del famoso Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Il fatto di avere un fratello autistico è decisivo, qui c’è una vera empatia letteraria.
Il romanzo è ben costruito, ed è anche toccante e commovente, perché preme tasti universali. La sua grandezza sta nel riuscire a costruire un personaggio che, pur nella sua dimensione autistica, nella sua disabilità, anzi direi proprio grazie a quelle, è pienamente umano. E questa pienezza di umanità sta anzitutto nel suo legame con i ricordi dell’infanzia, e nella sua insopprimibile nostalgia della casa in cui ha vissuto e della madre che lo ha amato. Nostalgia che ad un certo punto diventa vero e reale nostos, un ritorno pericoloso ma necessario. Todd non ha alcuna super-abilità come il protagonista del romanzo di Haddon, il suo intelletto è un po’ limitato, e spesso rivela la sua ingenuità, che ne fa una persona indifesa. Il suo candore è anche una luce che rivela al lettore un mondo circostante complesso e moralmente ambiguo.
Nota finale: si conferma che nessun autistico averbale può essere il protagonista di un romanzo. In qualche modo, perché la sua storia sia interessante, l’autistico deve abitare il linguaggio. Tu mi dirai: “E Zanna Bianca? E Il richiamo della foresta? E Kazan? Animali senza parola protagonisti di storie”. Ma quella è un’altra storia.
https://www.facebook.com/brottof
Asperger vs Averbale
Qualche anno fa mi telefonò un uomo sui cinquant’anni. Un ingegnere. Aveva trovato il numero del mio cellulare in internet, mi disse, dopo aver letto alcuni miei post sull’autismo. Mi raccontò di essere marito e padre di un ragazzo (del tutto normale), e di aver ricevuto da poco, in Inghilterra, dove il suo lavoro lo portava per lunghi periodi, la diagnosi di Asperger. Voleva solo parlarne un po’ con me, e mi avvisò però del fatto che avrebbe potuto non rendersi conto di annoiarmi con le sue digressioni: non era in grado di comprendere se i suoi interlocutori fossero interessati o meno agli argomenti che interessavano a lui. Ne era consapevole, perciò mi chiedeva, nell’eventualità, di farglielo presente. Conversammo amabilmente, e penso con grande utilità reciproca, per una mezzora abbondante. Gli raccontai a mia volta, ovviamente, anche di mio figlio Guido e della sua condizione di autistico a basso funzionamento cognitivo, iperattivo e averbale. Fu molto colpito dalla condizione di Guido, e mi confessò che dei soggetti come mio figlio lui non capiva assolutamente nulla. Mi resi conto in quel momento, e fu una evidenza solare, abbagliante, come se davanti ai miei occhi fosse esplosa una supernova, che io, normotipico con tratti autistici pari a zero, ero più vicino, condividendone molti più aspetti e caratteristiche, ad una persona con diagnosi di Asperger come il mio interlocutore telefonico, ovvero ad un umano collocato dentro lo Spettro dell’Autismo, di quanto quello fosse vicino ad un soggetto come Guido, collocato all’altro estremo dello Spettro. Io con l’ingegnere Asperger potevo realizzare ciò che caratterizza l’umanità nella sua essenza, lo scambio di segni che crea il discorso e si fonda sul linguaggio: ci potevamo raccontare storie, comunicare le nostre esperienze di vita: lui mi poteva narrare di suo figlio normotipico, io gli potevo parlare del mio Guido autistico LF. Ma mentre io capivo tutto quello che lui mi raccontava, lui di contro non poteva comprendere, per quanto si sforzasse, la natura della mia esperienza con Guido. Guido per lui era un alieno, come lo era e lo è per me. La domanda quindi è: perché? E la risposta è questa: l’ingegnere ed io eravamo entrambi abitanti della sfera del linguaggio, Guido invece a quella sfera è estraneo, del tutto estraneo, perché non ha mai pronunciato una sola parola. Allora compresi anche che non è tanto quello che si riferisce all’etichetta autismo, per cui l’ingegnere e Guido stanno entrambi nello Spettro, a costituire il problema di Guido e della sua famiglia. Cioè il problema per noi non è un autismo in sé, quella cosa lì, che viene appunta concepita quasi come una sostanza che si esprime in varie manifestazioni, stereotipie, difficoltà, ecc., mentre è solo una serie di accidenti. Perché, come ora è sempre più chiaro, certe forme di autismo possono anche conferire vantaggi adattivi, come nell’ambito dell’informatica è evidente. La disabilità più profonda, quella che compromette l’intera vita di Guido, e delle altre persone autistiche averbali, si esprime nell’estraneità totale al linguaggio, al logos umano, una estraneità che ricade su ogni aspetto della vita di mio figlio. Hic Rhodus hic salta.
La nebbia blu di Nicoletti
Io figlio di mio figlio si intitola l’ultimo libro di Gianluca Nicoletti (Mondadori 2018). Parla di autismo, dell’autismo di suo figlio, del rapporto di lui padre col figlio. Un libro va promosso, perché oggi prima di tutto è una merce. Per promuoverlo, e distinguerlo nella messe crescente di libri che narrano, più o meno bene, storie di autismo, bisogna sparare qualche fuoco di artificio, bisogna smuovere un poco le acque. Questo è pane per il vulcanico Nicoletti, giornalista e conduttore di fortunate trasmissioni radiofoniche. Trovata: fare coming out e comunicare all’universo mondo che lui stesso si è fatto esaminare, ora ha una diagnosi, e risulta essere affetto da sindrome di Asperger: una tipologia di autismo, questa, che si accoppia benissimo ad un carattere bizzarro e ad una intelligenza spiccata, a rapporti personali sofferti come ad una carriera brillante e ricca di soddisfazioni e denaro. Cervelli ribelli, definisce così se stesso e il figlio, il cui autismo appare esso sì grave e bisognoso di assistenza in varie forme. A questo punto, l’invito a farsi a loro volta esaminare alla ricerca di tratti autistici, che lui rivolge ai genitori, in quei modi irritanti tipicamente nicolettiani, fa parte di una strategia di marketing ben studiata. Quanto più un libro del genere suscita scontri e passioni, tanto più venderà. Ma gli effetti di simili uscite sono disastrosi: già la persona comune, quella che non ha familiari con autismo in casa e non ne conosce nella vita reale, ha un’idea molto confusa di ciò che sta oggi sotto l’etichetta autismo : quello che Nicoletti dice aumenta la confusione. Cervelli ribelli è un’espressione che sfrutta l’aura positiva che da tempo in Occidente circonda la figura del ribelle, un’aura quasi sacra che il cinema e la letteratura hanno diffuso in tutti i modi. Ma quale ribellione d’Egitto! Il cervello di mio figlio, come quello di infiniti altri autistici a basso funzionamento intellettivo, non avrà mai alcuna idea né la più lontana percezione di ciò che significano conformismo e ribellione. È davvero singolare e inquietante, ma per nulla sorprendente per chi come me autistico non è (ed ha una buonissima teoria della mente e riesce a mettersi nei panni altrui, anche in quelli dei furbacchioni), che anche molti genitori di autistici contribuiscano a diffondere nel mondo quella nebbia che confonde tutte le forme e i livelli di autismo in un gran calderone. Anche se tinta di blu, una nebbia rimane una nebbia, ed ostacola la visuale. Se è fitta, la impedisce del tutto. Discernimento ci vuole, che anche nel mondo dell’autismo è merce rara.
Addio, Theo Peeters
Tristissima notizia, quella della morte di Theo Peeters. Si è spenta ieri una delle luci che hanno illuminato l’autismo, facendolo vedere in tutta la sua varietà e complessità, con un approccio scientifico e insieme umanistico. Peeters si era laureato in lettere e filosofia, e aveva conseguito un master in neurolinguistica e un altro in comunicazione umana. La sua formazione gli ha consentito di vedere quello che molti altri nel campo dell’autismo non vedevano e non vedono. I suoi libri sono pietre miliari. Ho avuto modo di incontrarlo un paio di volte, e di ascoltarlo. Un caposcuola e un maestro. Una perdita gravissima.
La porta nella roccia dell’autismo
https://www.facebook.com/brottof
In questi giorni che precedono il due aprile, giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, ho cercato a lungo un’immagine che potesse visibilmente incarnare la situazione reale, e non illusoria e fantasiosa, in cui versa la mia famiglia con un ragazzo autistico a basso funzionamento, e in cui versano numerose altre famiglie che vivono la stessa esperienza. Ho trovato questa immagine, potentissima, in un quadro di Karl Friedrich Schinkel , del 1818. Si intitola La porta nella roccia, e mostra un gruppo di tre persone con due muli che stanno salendo a fatica per una stretta via tortuosa verso un portale immenso. Sembra quasi di avvertire un vento gelido che esce dal quadro. Cosa ci sarà oltre quel portale, cui si giunge dopo aver corso pericoli e speso energie a dismisura lungo una strada infinitamente lunga? Che destino attenderà i viaggiatori? Ci sarà ristoro o un’altra infinita via? È una porta che porta ad un luogo, o che si apre sul nulla? Tutte le fatiche sopportate avranno una ricompensa o si dimostreranno vane? Ecco, il mio due aprile sarà in questo quadro.
NeuroTribù
Una prima nota sul libro di Steve Silberman NeuroTribes, uscito in Italia col titolo NeuroTribù nella traduzione di C. Mangione (Edizioni LSWR, Milano 2006) si può leggere qui. Il corposo libro di Silberman andrebbe letto in parallelo con l’altrettanto corposo In A Different Key di John Donvan e Caren Zucker (una nota qui). Entrambi sono scritti bene, hanno quel piglio narrativo che contraddistingue anche la divulgazione scientifica anglosassone, e condividono nella sostanza una lettura progressiva e scientifica della questione autismo. Il lavoro di Silberman, tuttavia, presenta una coloritura particolare, la cui origine e natura mi è parsa del tutto chiara solo quando stavo per chiudere il libro. Nei Ringraziamenti infatti si legge “Questo libro non sarebbe mai stato scritto senza l’incoraggiamento, il sostegno e la pazienza di mio marito Keith Karraker (…)”. Sulle prime ho pensato ad un errore, ma poi ho visto sul risvolto di copertina, sotto la foto del simpatico Silberman con la sua barbetta, “Vive a San Francisco con suo marito Keith”. E ho allora compreso come la visione di Silberman degli autistici come gruppo sociale emarginato e incompreso e sottoposto a vessazioni inenarrabili per secoli, e ora finalmente giunto a piena autocoscienza e a capacità di self advocacy e lotta per i diritti, questa visione di minoranza oppressa ma piena di valori e capacità di operare per il bene collettivo, debba molto alla storia del movimento gay. Ma anche a quella di tutte le minoranze: etniche, religiose, sessuali. Ed è anche evidente, e tutto il libro lo dimostra, a cominciare dal sottotitolo (The Legacy of Autism and the Future of Neurodiversity, che nella versione italiana diventa addirittura I talenti dell’autismo e il futuro della neurodiversità) che data la struttura dello Spettro dell’Autismo questa lotta riguarda la sua parte alta e autocosciente, mentre lo stesso dialogo tra questa componente e le famiglie di coloro che non dispongono di parola né di concetto si presenta impervia e spesso impossibile.
L’ottimismo che pervade il libro di Silberman è comprensibile, ma un qualsiasi genitore di persona autistica a basso funzionamento, e magari del tutto averbale e con grave ritardo mentale, fatica molto a condividerlo: le ricadute delle conquiste degli Aspies sull’oscuro futuro di suo figlio gli appaiono fantasmatiche, inconsistenti e illusorie.
In ogni caso, nonostante alcune riserve, il libro è senz’altro consigliabile a tutti coloro che vogliano conoscere la storia dell’autismo, a cominciare dalle intuizioni fondamentali di Hans Asperger e Leo Kanner, e anzi, addirittura (secondo la prassi invalsa di retrodiagnosi talvolta avventurose) da personaggi del passato, come il settecentesco inventore e scienziato Sir Henry Cavendish, dal quale inizia il racconto.
La tesi fondamentale di Silberman è che l’umanità sia un composto di vari tipi di mente, prodotto di neuro-diversità che dovrebbero tutte trovare spazio per poter esprimere le loro potenzialità (di cui Silberman offre un vasto saggio); anzi, per l’autore il mondo degli umani ha bisogno, e lo ha sempre avuto, di menti autistiche, le cui bizzarrie e problematiche varie sono il contorno di una pietanza sostanziosa: la capacità di vedere cose che i neurotipici non vedono e di scoprire procedure e tecniche cui le persone normali non arriverebbero mai (come nel campo dell’informatica). Ma il punto cruciale, l’hic Rhodus hic salta della questione è tutto qui: se il mondo ha bisogno di menti differenti, ha comunque bisogno di menti funzionanti. Se quella dell’inventore Cavendish o di un ingegnere informatico nello Spettro funziona in alcuni campi in modo eccezionale, con risultati sorprendenti e benefici per tutti, quella di un autistico con grave ritardo mentale può disfunzionare in tutti i campi. E a lui non si applicherà quella formula gratificante.
Una differenza interessante rispetto al testo parallelo di Donvan e Zucker si trova nella valutazione del lavoro di Hans Asperger. Mentre i primi sottolineavano la compromissione di costui col regime nazionalsocialista, Silberman tende ad assolverlo, e questa assoluzione è senza dubbio legata al fondamentale ruolo che viene attribuito allo studioso austriaco nello sviluppo dell’idea di autismo come continuum, come spettro, contrastante con quella di autismo come disturbo raro che Leo Kanner difese per tutta la vita. In ogni caso, di tutti coloro che svolsero un ruolo fondamentale nella questione dell’autismo, dallo stesso Kanner a Rimland e Lovaas, per non parlare di Bettelheim, Silberman espone luci e ombre, impegno generoso e meschinità: il quadro è variegato e avvincente come un romanzo.
Concludo questa nota con una citazione che riguarda la tesi centrale di Silberman:
Dove Asperger aveva colto l’inestricabile intrecciarsi dei fili conduttori del genio e della disabilità nella storia familiare dei pazienti, a testimonianza delle complesse radici genetiche della condizione e del “valore sociale di quel tipo di personalità”, come ebbe ad affermare, Kanner vide l’ombra della sinistra figura che nella cultura popolare sarebbe diventata la famigerata “madre frigorifero”.
Kanner era un osservatore clinico acuto e uno scrittore persuasivo, ma in questo caso i suoi errori di interpretazione del comportamento dei pazienti ebbero implicazioni di larga portata. Attribuendo ai genitori la colpa di avere senza volere provocato l’autismo dei loro bambini, rese la sindrome fonte di vergogna e stigma per le famiglie di tutto il mondo, spingendo per decenni la ricerca nella direzione sbagliata. (P. 171)
Disabilità e potere politico
L’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), attualmente l’unica associazione nazionale del settore, fa uscire questo comunicato, che mi pare il caso di commentare.
Le associazioni come Angsa sono apolitiche e apartitiche ma dati i risultati ottenuti per L’autismo noi stiamo con il SI
Le associazioni maggiormente rappresentative nel campo dell’autismo non possono dimenticare i grandi risultati raggiunti con la legge 134/2016, i nuovi Lea e la istituzione della Fondazione Italiana per promuovere la ricerca. Pur nel pieno rispetto dei propri dettami statutari che impongono equidistanza e imparzialità politica, le associazioni riconoscono all’attuale Governo il buon lavoro svolto sui diritti delle persone con autismo e delle loro famiglie e attendono con fiducia il completamento dello stesso, attraverso la revisione della Linea Guida, di Indirizzo e dei regolamenti , che consentiranno di rendere fruibili, ed in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, i servizi previsti.
In ragione di tutto ciò, dell’apprezzamento e della riconoscenza per questi provvedimenti che cambieranno in meglio la vita delle persone con autismo, le associazioni ritengono questo Governo meritevole della propria vigile fiducia anche per il sostegno all’approvazione delle modifiche costituzionali, da attuare con il prossimo referendum.
ANGSA ONLUS (www.angsa.it)
FONDAZIONE MARINO ( www.fondazìonemarino.org )
Ora, vediamo, è vero che noi oggi viviamo in un mondo che sta precipitando verso la massima confusione concettuale, ma in questo breve testo sono contenute delle enormi bestialità, tanto che se ora fossi nel Consiglio Direttivo (lo sono stato in anni ormai lontani) mi dimetterei all’istante. Anzitutto, come si fa a scrivere Le associazioni come Angsa sono apolitiche e apartitiche ma dati i risultati ottenuti per L’autismo noi stiamo con il SI? Si rendono conto i dirigenti di quell’associazione di quel che la frase significa, o usano le parole come noccioline americane? Significa questo: l’ANGSA è apolitica e apartitica (in realtà ciò che è apolitico non può, a priori, essere partitico), ma data l’occasione diventa politica e partitica. Una contraddizione vivente, scarsamente dialettica. E questo luminoso principio di incoerenza, per sé ancora astratto, si incarna poi nella storia, nel supporto dell’ANGSA al PD, nella sua intersezione con esso, tra l’Emilia Romagna di Hanau e la Sicilia di Faraone. Sempre più chiaro balza agli occhi il fatto che l’ANGSA è diventata una costola del PD, al punto tale, e qui veniamo al succo di questo inopinato appello, che i suoi dirigenti pensano che l’attuale governo debba essere mantenuto in piedi ad ogni costo, e temendo una vittoria del NO e la conseguente caduta di Renzi, esprimono una aperto e ufficiale sostegno al SI’. Con un evidente abuso, con una violenza sullo statuto e sulle scelte e gli orientamenti personali degli iscritti, che lo statuto chiaramente tutela. Un obbrobrio. Con quello statuto, del resto, nemmeno un referendum tra gli iscritti per verificarne gli orientamenti di voto potrebbe legittimamente consentire alla dirigenza di manifestare pubblicamente quella scelta come scelta dell’Associazione. Altro che democrazia interna, altro che apoliticità: un vero e proprio stupro partitico.
Possiamo aggiungere che l’idea di scegliere il SI’ in un referendum che riguarda parti della Costituzione anche per “riconoscenza” come si dice nel comunicato, appare meschino, e torbido? Perché non aggiungere un “baciamo le mani, Eccellenza Sottosegretario”?
E non si tratta, infine, qui di vedere se il Governo abbia legiferato bene o male sulle questioni dell’autismo e della disabilità generale. La questione è più netta e radicale. Qualsiasi sia il frutto dell’azione di governo, e anche in presenza di risultati eccellenti agli occhi dell’associazione, questa, se è apolitica e apartitica, non può fare pubblicamente delle scelte di campo squisitamente politiche. Per la contraddizione che non lo consente. Se vuole essere ufficialmente e con tutti i crismi quella costola del PD che di fatto già è, cambi qualche comma dello statuto e si denomini ANGSAPD.
(Nota: il sottoscritto voterà SI’, pertanto è al di fuori di ogni sospetto)