In A Different Key

diffkeyQuesta è una storia dell’autismo molto americana, nel senso che quasi tutto ciò di cui si parla avviene negli Stati Uniti (e in Inghilterra), ma è ben vero che le sorti generali dell’autismo si sono decise in un solo Paese, e senza quello che è avvenuto in questi decenni negli USA tutte le famiglie con autismo al loro interno, italiane comprese, sarebbero nella notte e nella nebbia. Questo è anche un libro di 552  pagine (che con le note e gli indici diventano 670), che si legge d’un fiato, perché è scritto benissimo, con la chiarezza e la capacità narrativa del miglior giornalismo e della migliore storiografia anglosassoni. In A Different KeyThe Story of Autism è un libro che dovrebbero leggere tutti quelli che in qualche modo sono interessati alla problematica dell’autismo, anche in Italia. E tuttavia la diffusa incapacità, anche da parte di psicologi e psichiatri italiani, di leggere libri scritti in inglese farà sì che anche l’opera di John Donvan e Caren Zucker, come altre importanti pubblicazioni divulgative, in assenza di un’improbabile traduzione in italiano, passerà quasi inosservata da noi. Ed è un peccato, perché questo libro offre uno sfondo storico, sociologico e scientifico indispensabile per poter parlare di autismo sapendo di che cosa si stia parlando.
L’aspetto per me più interessante, perché direttamente connesso alla mia visione critica dello Spettro, riguarda la prevalenza dell’autismo. Non tutti sanno che la pietra di paragone per tutti i discorsi sull’aumento dei casi di autismo, sulle percentuali di affetti della sindrome sul totale della popolazione, ecc., è costituita da uno studio pionieristico pubblicato in Inghilterra nel 1966 da un giovane ricercatore, Victor Lotter, uno studio che giungeva a definire la proporzione che sarebbe stata evocata in seguito infinite volte: 4,5 bambini ogni 10.000. Era in assoluto il primo tasso di prevalenza. Il problema è che la ricerca di Lotter, iniziata nei primi anni Sessanta, sulla base della definizione di autismo di allora, è stata usata nei decenni che seguirono come solida pietra di paragone della prevalenza, come fosse una verità oggettiva.  Come scrivono Donvan e Zucker, “Definizioni sfocate hanno condotto a domande senza risposta su questo problema: studi differenti svolti in tempi diversi stanno trattando dello stesso tipo di persone? ” (p. 286). Lo scontro di questi ultimi anni tra i difensori della neurodiversità da un lato, che invocano il rispetto e l’accettazione della persona autistica per quello che è, e denunciano come violenza ogni tentativo di modificarla, e dall’altro i genitori e le associazioni che vogliono abilitare, cioè cambiare, i propri figli, e se possibile strapparli all’autismo, sono la conferma della estrema problematicità e indeterminatezza che la sindrome si porta con sé dal tempo in cui Kanner la denominò.

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