Ore 11.45, questa mattina. Seduto su una panchina in campo Nazario Sauro, a Venezia. Mi riposo all’ombra di un alberello, una fresca brezza, c’è il sole, di fronte a me la porta di servizio di un bar, un ragazza cinese traffica dentro e fuori, sulla panchina opposta alla mia un cingalese digita sul telefonino, da un altro bar all’angolo della piazza sento una fisarmonica che suona Bella ciao, uccellini cinguettano e cantano, un anziano tutto vestito di nero con cappotto invernale e sciarpa di lana si siede vicino al cingalese, mugugna due parole e se ne va, arriva una nonna col nipotino di due anni che si mette a imitare gli uccellini “cip cip”. Io tiro fuori dalla borsa il nuovo libro di Marco Vannini All’ultimo papa, e inizio a leggerlo. “Cip cip”. Guardo ai miei piedi un piccolo ciuffo d’erba stentata tra le pietre d’Istria, e in quel ciuffo un abisso silenzioso e amichevole si spalanca.
