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La “plastic card”, la moneta elettronica, la moneta scritturale, la moneta web sembrano essere le forme più prossime, se non addirittura equivalenti, all’immaterialità, al totalmente immateriale. In ragione di questa presunta immaterialità, esse sono state scambiate (…) per il convertitore universale di tutti i valori materiali, il denaro, invece di essere analizzate come moneta, individuandone nell’elemento scritturale la prima condizione necessaria della validità e dell’accettabilità della moneta stessa.
Ed è su questa confusione che si fonda l’ambiguità sostanziale della teoria di Searle e non sull’ambiguità terminologica consentita dalla lingua inglese grazie alla possibile doppia accezione del termine “money”. (…)
La moneta è ora diventata pressoché vicina all’immaterialità. La complessa evoluzione delle forme assunte dalla moneta e la sua separazione dalla forma originaria di merce hanno indotto molti economisti ad affermare che moneta è semplicemente ogni cosa accettata in pagamento. Posizione assunta acriticamente anche da Searle.
Resta pertanto il fatto che íI processo di smateríalízzazíone trova un suo limite oggettivo: un’iscrizione telematica nella memoria di un computer.
Anche facendo riferimento alle specifiche funzioni della moneta risulta evidente che il segno grafico rappresenta la condizione necessaria della sua esistenza sociale.
La moneta, nella sua funzione di unità di conto, per essere tale deve essere espressa in un segno grafico: un numero.
La moneta, nella sua funzione di sistema di pagamento, per essere tale deve essere supportata da un segno grafico: marchio distintivo sulla moneta metallica, firma sulla moneta cartacea, firma su assegni o bonifici, codici a barre, numeri PIN quali codici di identificazione personale.
La moneta, nella sua funzione di mezzo di scambio, per essere tale deve essere supportata dagli stessi segni che sono necessari alla moneta, nella sua funzione di mezzo di pagamento.
La moneta, nella sua funzione di riserva di valore, sia nella sua forma liquida (monete e banconote sotto il materasso o nel portafoglio, depositi bancari) sia nella sua forma mobiliare (titoli), necessita sempre di una firma di convalida, che la contraddistingua come tale, o di una traccia elettronica. (pp. 48-50)
A partire da p. 55, M.G. Turri si confronta col pensiero di tutti i più importanti pensatori che hanno investigato l’argomento denaro/moneta. Filosofi ed economisti, da Smith ad Hegel, da Marx a Schumpeter a Simmel ad Hayek, ecc. ecc. Da queste densissime pagine si vede con grande chiarezza come il pensiero economico si intrecci con quello sociologico e soprattutto con quello filosofico. Si vede, anche, come la scienza economica sia, fin dai suoi esordi e fino ad ora, sempre estremamente problematica e conflittuale al suo interno, perché il suo oggetto è in realtà un oggetto umano, e l’umano è inesauribile, fluido e sempre trascende l’atto riflessivo su se stesso. Se esistono delle acquisizioni stabili e delle pietre miliari rispetto alle quali non si può tornare indietro (ad es. secondo la Turri alcune scoperte di Marx, ma anche di altri), anche il puro progresso tecnologico apre sempre nuovi fronti (vedi la telematica, impensabile qualche decennio fa).
Quello che in questa trattazione manca completamente è la comprensione della natura mimetica dell’attività economica, della produzione delle merci e della moneta. Pure, la Turri nell’ultima parte del libro disloca il suo discorso, con uno spostamento non sufficientemente argomentato, sul versante del cervello umano e della sua plasticità, mostrandosi molto affascinata dalle scoperte recenti delle neuroscienze e dalle costruzioni speculative che vi si sono costruita (da Gallese ed altri). In effetti, i neuroni-specchio (o la funzione specchio dei neuroni, come forse sarebbe meglio dire) corroborano fortemente la tesi della essenziale mimeticità dell’umano, pur non giustificando totalmente, a mio giudizio, le dogmatiche costruzioni teoriche gallesiane. Ma la mimesi (che si sperimenta nella massima intensità nel panico, ivi compreso quello borsistico) rimane la grande esclusa dall’ambito del sapere sull’economia. Facciamo allora l’esperimento mentale di sottrarre allo scenario dell’economia tutto quello che può essere ricondotto alla reciproca imitazione-competizione tra gli umani, e vediamo quel che rimane.
Quello che non mi convince fino in fondo è la traduzione dello scambio di segni in termini puramente mimetici, se il segno è non solo linguaggio ma valore presunto, come nel caso della moneta. Mi spiego: una conchiglia o una banconota le accetto in pagamento non solo perchè lo vedo fare da tutti, ma perchè ho fiducia nella eventuale convertibilità. Voglio dire, insomma, che la fiducia va oltre la semplice imitazione. Posso accettare qualsiasi forma di comunicazione gli altri pratichino, altrimenti ne sarei escluso, ma non è detto che accetti la permutazione di un valore d’uso con un valore di scambio, se non mi fido della covertibilità. Non è questa la genesi dell’inflazione?
Ma la fiducia ha a sua volta una base mimetica. La fiducia nella convertibilità non riposa su di un rapporto immediato con l’oggetto moneta, bensì sulla fede a priori nell’universalità della relazione. Accetto in pagamento una banconota perché lo fanno gli altri, e perché vedo che gli altri hanno fiducia nella convertibilità. E’ anzitutto fiducia nell’altro e nei suoi atteggiamenti. Si tratta di fede linguistica anzitutto, e di fede nel fatto che il valore dell’oggetto moneta è condiviso.Nessuna forma di circolazione interumana si dà senza base mimetica. Ed è anche un dato di esperienza che fiducia e sfiducia sono socialmente contagiose, ovvero mimetiche al massimo grado.
Ci sto pensando. Percepisco il mimetismo come qualcosa di istintivo e spontaneo, e invece la fiducia come il frutto di una deliberazione, qualcosa come un rischio consapevolmente assunto, che non mi pare così direttamente assorbibile in quello. Come dire: il mimetismo spiega l’elemento psichico dell’agire, la valutazione implica un livello spirituale.
Direi che ci sono una mimesi irriflessa e una mimesi mediata (mediazione che può darsi a più livelli). In ogni caso, il singolo ha sempre di fronte a sé un modello sociale e plurale, e in alcune circostanze può decidere se “fare come gli altri” o “non fare come gli altri”. Ma io penso che anche il “non fare come gli altri” sia adeguazione ad un modello preesistente di “non fare come gli altri”. La libertà dell’arbitrio, come l’eternità, si può dare solo in un ambito non misurabile, ma non per questo meno rilevante.
Aggiungo che l’intero Cristianesimo è impostato sul “fate come me”, e corrispettivamente sul “non fate come loro”, ovvero su una mimesi che tende, senza mai raggiungerla, all’identificazione.
Ecco, Fabio. Nel tuo discorso vedo i campi di scelta e non vedo la scelta. Mi manca l’elemento trascendente, il pallone che va in rete o va fuori. In entrambi i casi c’è un ipotesi prevista, e una norma che ne sancisce il significato, ma mi manca il giocatore.
OT. Conosci il libro “Una famiglia” di Kenzaburo Oe?
Il libro di Oe parla di disabilità. Ne so qualcosa…
Devo dire che al momento non riesco a vedere grandi guadagni esplicativi né dall’ipostatizzazione del denaro in entità ontologica, né dalle integrazioni mimetiche proposte da Fabio. A differenza del linguaggio, che sembra doversi costituire “in blocco”, l’umile selezione per tentativi ed errori di una gamma di mezzi di scambio privilegiati mi pare riccamente documentata in svariatissimi contesti. Ma non voglio affrettare conclusioni. Ciao
@Fabio
Lo sto leggendo, mi sembra un libro bellissimo.