Friedrich Engels: un esempio da seguire, un pensiero da usare*
di Eros Barone
Leggendo l’appassionante e documentata biografia intitolata «La vita rivoluzionaria di Friedrich Engels», che lo storico inglese Tristram Hunt ha dedicato recentemente a colui che è stato, assieme a Karl Marx, il cofondatore del socialismo scientifico, mi è tornato in mente, per contrasto, il commento che fu espresso da Fausto Bertinotti sulla scelta del Partito democratico, quando questo, in occasione della campagna elettorale del 2008, scelse di abbinare alla candidatura di un imprenditore la candidatura di un operaio: un commento (“uno dei due è di troppo”) che implicitamente poneva la questione del rapporto tra origine sociale e orientamento politico. Orbene, è doveroso osservare che quel commento, se da un lato era diretto contro un’operazione di segno tipicamente interclassista, dall’altro non esprimeva affatto una posizione di classe ricondu-cibile alla concezione marxiana o alla tradizione marxista, bensì una posizione risalente all’ideologia di Pierre-Joseph Proudhon, cioè del maggiore rappresentante del ‘socialismo conservatore borghese’ (così definito da Marx ed Engels nel terzo capitolo del «Manifesto del partito comunista»), il quale faceva derivare meccanicamente l’orientamento politico dall’origine sociale. Basti pensare che, se un simile criterio fosse valido, il movimento operaio avrebbe dovuto escludere dal suo seno gli stessi fondatori del socialismo scientifico, in quanto Marx era figlio di un esponente della media borghesia intellettuale, oltre che marito, avendo sposato Jenny von Westphalen, di un’esponente della nobiltà tedesca, ed Engels non solo era figlio di un industriale tessile, ma svolse lui stesso tale attività dopo essere subentrato al padre, in séguito alla morte di quest’ultimo, quale imprenditore dell’azienda che la famiglia Engels possedeva a Manchester.
La dottrina del socialismo scientifico, d’altronde, non sarebbe mai potuta sorgere, se alla sua elaborazione non avessero recato un contributo decisivo intellettuali di origine borghese che, come Marx ed Engels, ruppero con la classe di appartenenza e posero le loro capacità intellettuali al servizio della classe del proletariato e della causa del comunismo. La nota tesi ortodossa, secondo cui la coscienza di classe viene portata al proletariato ‘dall’esterno’, significa infatti questo: che la classe sfruttata economicamente, essendo esclusa dalla cultura e dalla scienza, è priva della possibilità di elaborare una concezione alternativa del mondo, della storia e della società ed ha pertanto un vitale bisogno dell’apporto proveniente dagli intellettuali che hanno acquisito gli strumenti analitici e in-terpretativi necessari all’interno della cultura borghese, hanno preso coscienza delle contraddizioni di tale cultura e hanno riconosciuto nella classe proletaria il soggetto storico della trasformazione sociale. Le eccezioni, come quella dell’operaio tedesco Joseph Dietzgen, molto apprezzato da Marx e da Engels per i suoi scritti filosofici, confermano la regola. Occorre inoltre sottolineare che, come lo stesso Engels non si stancò mai di ribadire, il comunismo è la causa della liberazione (non di una classe ma) dell’intera umanità. Ciò comporta che a tale causa possano (e debbano) aderire persone che appartengono a tutti gli strati sociali e che individuano nel partito comunista e nella dottrina marxista lo strumento della loro unificazione ideale, organizzativa e politica sul terreno della lotta rivoluzionaria contro il sistema capitalistico di produzione e di scambio, per la costruzione di una “società nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la con-dizione per il libero sviluppo di tutti”.
Sennonché, mentre si è parlato e scritto molto su Marx, spesso si è sorvolato sui rapporti fra il suo pensiero e quello di Engels, quasi che molti degli scritti di Engels abbiano rappresentato un peso morto per il marxismo. A questa svalutazione, tipica di una cultura essenzialmente idealistica indifferente ai problemi della natura e, per conseguenza, delle scienze naturali, ha reagito Ludovico Geymonat, uno dei maggiori pensatori italiani della seconda metà del Novecento, che in uno specifico capitolo della sua «Storia del pensiero filosofico e scientifico», riassumendo le critiche rivolte all’attività teorica di Engels (quella di essere un positivista e quella di essere un semplice ripetitore di Hegel), fornisce una risposta argomentata con cui, oltre a fare giustizia di certo anti-engelsismo di maniera, delinea la propria posizione filosofica. Il pensatore torinese ricorda, in primo luogo, che Engels, avendo compreso che il positivismo rappresentava nel secolo scorso l’erede diretto dell’illuminismo, di cui proseguì le più significative battaglie (contro l’oscurantismo clericale e a favore del pieno riconoscimento dell’importanza teorica e pratica della scienza), ed essendo cosciente della sua importanza (non tanto quale corrente filosofica quanto) quale espressione dell’atmosfera culturale diffùsasi in Europa a causa dei successi della ricerca tecnico-scientifica, sostenne che la classe operaia, che era portatrice di una nuova cultura, doveva schierarsi accanto ai positivisti e non contro di essi (cioè non a fianco dell’irrazionalismo), pur combattendone instancabilmente gli errori filosofici e le tendenze metafisiche. Geymonat spiega, in secondo luogo, come Engels, nel portare avanti tale battaglia, abbia riscoperto l’importanza e il valore, sul piano razionale, della filosofia hegeliana. Da queste premesse Geymonat deduce l’esigenza di ricercare la sintesi fra la ragione scientifica moderna (espressa dal positivismo) e la ragione dialettica moderna (espressa dall’idealismo), di scoprire, cioè, il nesso intimo fra le due impostazioni culturali, anziché contrapporre l’una all’altra, come fanno sia gli apologeti della scienza che i suoi denigratori.
Eppure sarebbero già sufficienti due citazioni chiave dal fittissimo epistolario fra Marx ed Engels per delineare nitidamente il rapporto di complementarità che legava i due inseparabili amici e per fare giustizia della svalutazione che ha condizionato a lungo, soprattutto nel nostro paese, il giudizio sul fondamentale contributo del secondo alla formazione e allo sviluppo del pensiero comunista moderno. Fermo restando che, come ebbe a dire Engels con la modestia che lo contraddistingueva, in occasione della morte di Marx, questi “era un genio, mentre noialtri al massimo avevamo talento”, in una lettera del 17 marzo 1845 Engels così definiva la personalità intellettuale del grande amico: “Suppongo…a giudicare…dal tuo carattere, che tu insisterai di più sulle premesse che sulle conseguenze”, mentre Marx in una lettera del 4 luglio 1864 così tratteggiava il ruolo di Engels nella grande intrapresa della elaborazione congiunta del materialismo storico, della critica dell’economia politica e del socialismo scientifico: “Tu sai che: 1) a tutto io arrivo con ritardo e che: 2) io seguo sempre le tue orme”.
Un tema di scottante attualità come quello della bancocrazia può bastare, quale conclusione di questo sintetico profilo, a fornire un assaggio della capacità analitica dispiegata, a soli venticinque anni, dall’autore della «Situazione della classe operaia in Inghilterra» (1845): testo che, fra l’altro, è da ritenersi cruciale non solo per Engels ma anche per Marx, allorché ci si propone di definire le matrici intellettuali dell’incontro fra i due. Ebbene, se si guarda con le lenti della teoria marx-engelsiana alla fenomenologia della presente crisi finanziaria che, come nel 1873, nel 1929, nel 1974, nel 1987 e nel 1998, ha preannunciato e innescato la crisi della struttura produttiva, non è difficile comprendere che la vera causa della crisi dipende dal meccanismo della sovrapproduzione: è il ‘fuori giri’ del sistema capitalistico, il quale, non essendo in grado di pianificare la pro-duzione ‘ex antea’ in base al valore d’uso, cioè ai bisogni collettivi della società, ma essendo capace solo di continuare indefinitamente a produrre sulla base del valore di scambio, cioè sotto la spinta della ricerca del massimo profitto, può introdurre l’unico possibile aggiustamento ‘ex post’, vale a dire attraverso la crisi stessa. Nell’epoca dell’imperialismo, iniziata negli anni ’70 del XIX secolo e dispiegàtasi nel corso del XX, epoca segnata dal dominio (non del capitale industriale ma) del capitale finanziario, la borsa funziona (non più come “un elemento secondario nel sistema capitalistico” ma) come “il rappresentante più notevole della produzione capitalistica”: essa – nota Engels nelle “Considerazioni supplementari” al III libro del «Capitale» – “tende progressivamente a concentrare nelle mani degli uomini di borsa la totalità della produzione indu-striale e di quella agricola, tutto il traffico, mezzi di comunicazione e funzioni di scambio”. La previsione che il capitalismo va verso il crollo non è pertanto una profezia, ma il risultato di un’analisi scientifica e di una constatazione storica: la crisi del capitalismo genera inesorabilmente la tendenza alla guerra imperialista. Quali che siano i saliscendi delle borse mondiali determinati dalla plètora di capitale in eccesso da smaltire, a sua volta determinata dalla crescente sovrapproduzione di merci, forza-lavoro, capitali e mezzi di produzione, quali che siano le diverse puntate che i vari giocatori fanno sul banco del ‘capitalismo da casinò’, ciò che risulta ineluttabile è la dinamica della svalorizzazione delle forze produttive e la correlativa distruzione di risorse materiali ed umane in cui la crisi consiste: è quindi altamente probabile che il gioco del cerino acceso, che le classi dirigenti del mondo capitalistico stanno praticando sia nell’economia sia nella politica sia nella guerra, non permetterà di salvarsi a nessuna di esse, poiché si sta svolgendo all’interno di una polveriera.
Vi sono dunque solidi motivi per attribuire a Engels un ruolo essenziale (non solo nella divulgazione ma anche) nella elaborazione e nello sviluppo del pensiero comunista moderno. Si spiega in tal modo sia perché, indicando in Engels “un esempio da seguire”, abbia voluto sottolineare l’adesione del figlio di un industriale tessile alla causa del comunismo, sia perché abbia inteso affermare, prendendo spunto da un libro che ripropone meritoriamente la centralità della sua figura e del suo contributo nella storia del pensiero filosofico e del movimento operaio internazionale, la necessità di “usare il pensiero” di Engels, facendo di esso, così come di quello di Marx (giacché sono inscindibili), un’arma della lotta per l’emancipazione sociale.
* «Friedrich Engels Un esempio da seguire, un pensiero da usare» è il titolo del volume in cui sono raccolti gli Atti del convegno nazionale di studi organizzato dal Centro Italiano di Studi Engelsiani e svoltosi a Gallarate nel 1995 in occasione del centenario della morte di Engels.
scusate ma cosa vuol dire nell: LA SITAZIONE DELLA CLASSE OPERAIA IN INGHILTERRA DEL 1845 DI ENGELS la frase…DALLO STOMACO FORTE E DAI NERVI DEBOLI riferito ai cittadini ricchi???