Desiderio, dismisura

Il Desiderio è infinito. Nella sua natura è iscritta la mancanza del limite: esso tende al suo accrescimento, e passa continuamente da un oggetto all’altro. Ma non può essere concepito come una sostanza. Il Desiderio non sta per sé. È una funzione del soggetto, che l’apprende culturalmente: la sua non-animalità come soggetto umano sta esattamente nel suo desiderare, in luogo del puro appetire. Per questo la brama è senza fondo, e “dopo il pasto ha più fame che pria”, perché non sta per sé, ma è relazionale e mimetica, in altre parole sociale (il Deserto dei mistici è anzitutto una fuga dal regno della mimesi).

Infine, anche qui troviamo una radicale corrispondenza tra l’ambizione illimitata, a differenza delle possibilità reali, e la relazione tra segno e referente del segno. Infatti ciò che caratterizza il segno umano è che esso è sovrabbondante rispetto ai suoi referenti mondani (in tempo di carestia, quando il pane non c’è, io e te possiamo scambiarci all’infinito la parola pane, mentre non possiamo scambiarci neppure un panino). La radice di ogni dismisura sta quindi nel sorgere stesso dell’umano, va ricercata nella scena dell’origine.

7 pensieri su “Desiderio, dismisura

  1. nel precedente post mi ero pirmesso di chiedere qualcosa sulla sacrificale e radicata nella violenza distinzione tra puro e impuro, principalmente perchè vi avevo acchiappato dei segnali tipici del pensiero di Girard, cui, non senza difficoltà sto provando ad avvicinarmi. in quiesto post il riferimento mi pare ancor più evidente. c’hai questa maniera di scrivere essenziale e pure austera, che a noi semplici cercatori di empatie ci lascia interdetti. io sono contento di aver scoperto Girard, (forse proprio girando da queste parti ) anche solo perchè èla prima volta che mi imbatto in un tentativo di spiegare la crocifissione.
    la teoria mimetica è affascinante. ma non se anche di Girard si possa dire che è il solito trombone che vuole applicare un intuizione magari giusta, oltre i dovuti ambiti. tu che ne pensi? io sto leggendo “Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo.”

    ciao,k.

  2. La questione del “girardismo” è assai complessa. Io da molti anni sono vicino a molte idee di Girard, e ritengo che egli abbia posto in luce il senso profondo di alcuni elementi fondamentali dell’umano: essenzialmente la mimesi violenta e il sacrificio. Ho anche criticato, però, alcuni aspetti della sua visione, e soprattutto di quella del suo discepolo Fornari. Puoi vedere qui:
    http://www.bibliosofia.net/files/fornari.htm

  3. ne avrei di domande da fare sul tema, al momento della lettura di Girard mi restano più che altro sensazioni tipo oniriche, impressioni di una verità espressa all’ interno di un sistema da cui però alla fine si esce chiudendo il libro. mi sbalestra questa specie di rivelazione gnostica, una negatività fondativa dell’umano che è espressa con chiarezza e semplicità, mentre l’eventuale possibilità di salvezza resta piuttosto vaga.
    come ci si relaziona con Dio? io trovo ristoro nella preghiera, non so se Girard ne abbia mai parlato nei suoi libri

    ciao,k.

    1. Girard non parla della preghiera, si occupa del sacrificio. Nella sua prospettiva, l’unica salvezza è quella di Cristo, l’umanità da sola non può uscire dalla mimesi violenta. E’ vero peraltro che il pensiero girardiano ha accentuato nel corso dei decenni la sua valenza cristiana (dando fastidio per questo alla componente “laica” dei suoi seguaci).

  4. Però questo uso del termine “infinito” a me sembra abbastanza teatrale. Sarò forse condizionato dalla matematica, però il termine “illimitato” mi sembrerebbe molto più corretto. Anche il fuoco, o una colonia di batteri, portano “inscritta” un’assenza di limite: finché non incontra ostacoli (cioè l’esaurimento di qualche presupposto necessario) il loro “meccanismo” continuerà ad iterarsi, indefinitamente. E lo stesso mi sembra accada per il desiderio, così come per il suo più volgare cugino animale, l’appetito. Entrambi incontrano abbastanza presto dei limiti, nel sistema più ampio che li comprende. Certamente il segnale chimico mediato dal sangue viene emesso, e preso sul serio (dai circuiti predisposti) assai prima di quanto accada per i segnali, ben più vaghi ed astratti, che regolano il desiderio, e che possono eprimersi nella noia (saturazione) o anche in una frustrazione perenne che conduca a una de-(o re-)pressione di questo benedetto fenomeno vitale. Ma quale sarebbe poi l’alternativa? Un desiderio che si stabilizzi in qualche sorta di “accontentarsi”, più o meno lieto? Non mi sembrerebbe un grande obiettivo, tanto più che la morte probabilmente ce lo offrirà comunque, in forma perfetta.
    Le situazioni triangolari acutamente descritte da Girard a me sembrano del tutto plausibili, però meno fatali di quanto il suo discorso sembri implicare: scoprire il meccanismo permette in una certa misura di affrancarsene, con un po’ di abilità. Altrimenti il mondo sarebbe un manicomio ancora peggiore di quello che è.

  5. Il fatto è che, a differenza dall’appetito, il desiderio dipende dalla rappresentazione. La matematica è uno degli orizzonti della rappresentazione, un mondo di segni che comunque presenta la sua specifica “teatralità” (basta pensare a un prof di matematica con la sua lavagna e la platea di spettatori): noi umani non possiamo pensarci se non all’interno di una scena. L’in-finitudine del desiderio è poi afferrabile solo dialetticamente, nel momento in cui si pone la finitudine del soggetto desiderante insieme alla impossibilità di de-finire il possibile oggetto del desiderio stesso. Poiché, anche, l’essenza dell’umano è nel suo essere aperto (in-finito, di questa particolare infinità), di contro alla chiusura dell’animale (con-finato nella sua specificità). Per questo, anche, l’infinitudine divina non è che un’estensione dell’autocomprensione desiderante dell’umano.

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