Se, come pensa anche Elizabeth Stout, ogni scrittore scrive sempre lo stesso romanzo, Patrick Modiano è forse il massimo esempio di inesausto produttore di variazioni su di un unico tema. Il suo tema è quello di una ricerca di identità, propria o altrui, da parte di un soggetto evanescente, tramite ricordi, indizi, testimonianze sfuggenti, oggetti, luoghi, strade, locali e case. Spesso nei romanzi di Modiano l’identità cercata, e quasi mai ritrovata, è quella di una donna: qui invece è quella del padre dell’io narrante. Le vicende pongono più domande che risposte, come avviene sempre in questo scrittore, e d’altra parte il lettore di Modiano non può certo essere un amante delle trame chiare e distinte. Qui, ne I viali di circonvallazione (Les boulevards de ceinture, 1972, trad. di A.F. Tedeschi, Bompiani 2014) tutto è sfocato e nebuloso. L’unica sicurezza è che il ritrovamento del padre da parte del protagonista avviene dopo dieci anni dalla sua sparizione, avvenuta quando il figlio aveva 17 anni, e che il padre stesso è ebreo, e sembra non riconoscere il giovane, cosa alquanto improbabile. In verità, sicura è anche la cornice temporale: gli anni dell’occupazione tedesca, anni pericolosissimi per ogni ebreo. Nei Viali la dialettica padre-figlio, uno dei cardini del genere romanzesco, è declinata in modo particolare: la figura paterna non è oppressiva, non è soffocante, non è modulata edipicamente, ma è piuttosto quella di un uomo debole, in balia di forze che non riesce a controllare, succube degli altri, che cerca di sopravvivere piegandosi, stando al gioco altrui, con mezzucci ed espedienti. I tutto sull’orlo dell’abisso.
