Ararat

Ararat

Ararat, di Frank Westerman (Ararat, 2007, trad. it. di C. Cozzi, Iperborea 2009) è la storia di un’ascensione del famoso monte avvenuta nel settembre 2005, e di tutte le vicende che hanno spinto l’autore all’impresa. Le motivazioni sono nella problematica spirituale del quarantenne  Westerman, nel suo abbandono della fede evangelica in età adolescenziale dovuta al conflitto tra narrazione biblica e scienza. Nella società nordeuropea questo conflitto è stato assai più  forte che nei paesi cattolici, proprio per il peso che la Bibbia aveva nell’educazione dei giovani e nella vita religiosa delle persone. Qui peraltro dalla storia narrata sono assenti la critica biblica, il dibattito sui generi letterari nelle Scritture, ecc. Da una parte una Bibbia ad litteram, dall’altra Darwin e i geologi. E Westerman è spinto alla Montagna da una forza oscura, quasi vi potesse trovare chissà quale rivelazione. Egli non è credente ma neppure ateo, e non si accontenta di un vacuo agnosticismo: inquieto, parte e va verso una vetta che infine, avvolta nella tormenta di neve, per pochi metri gli sfugge. Un esito altamente simbolico. Esistono dunque Montagne Sacre anche per i figli dell’epoca presente, che vi ricevono rivelazioni adeguate alla condizione debole del loro spirito, rivelazioni-non-rivelazioni, che significano questo: che potrebbero significare nulla. Westerman sembra ignorare la fides quaerens intellectum, e sembra quasi postulare un intellectus quaerens fidem (di un qualche tipo). Ma ponendo la cosa sul piano cosmologico, non può uscirne per lui nulla di buono: il suo cristianesimo sembra fermo alle scene del Genesi, a Noè e all’Arca, al Diluvio e allo sterminio degli umani. La croce di Cristo e l’antropologia evangelica mancano del tutto.

Il libro è tuttavia godibile, vi si trovano figure interessanti, come quelle dei capi Curdi o di semplici lavoratori negli impianti petroliferi del Nord. Meglio di un romanzo, per molti aspetti.

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