di Eros Barone
Nelle sue “Considerazioni di un impolitico” (1918) Thomas Mann ha diagnosticato con acutezza straordinaria il ‘male oscuro’ che corrode la fibra intellettuale e morale del nostro paese. Il dannunzianesimo politico, che allora prefigurava il successivo mussolinismo, e oggi il berlusconismo sono, infatti, le superfetazioni politico-culturali di quel nesso contraddittorio fra arretratezza e modernità, che la storia e l’antropologia italiane hanno prodotto e riprodotto con un tasso più o meno alto di volgarità, rozzezza, pacchianeria e, ‘last but not least’, di violenza reale e simbolica. Un merito non secondario di Mann, che certo deriva dalla sua ottica elitistica, è la chiarezza analitica con cui il grande scrittore tedesco ha individuato, nelle democrazie tardive della Germania e dell’Italia, la presenza delle pulsioni populistiche verso il dominio oclocratico: il nazifascismo come dittatura del capitale finanziario e come ‘sole nero’ dei poveri e degli emarginati.
«Ma da dove attingo parole per descrivere tutta l’incomprensione, lo stupore, il ribrezzo e disprezzo che provo al cospetto del poeta-politico di razza latina, del guerrafondaio tipo Gabriele D’Annunzio? Possibile che un retore e demagogo di questo stampo non rimanga mai solo e stia sempre affacciato al ‘balcone’? Non conosce solitudine, non gli vengono mai dubbi nei propri confronti, ignora la preoccupazione e il tormento per l’anima e per l’opera sua, ignora l’ironia a proposito della gloria, la vergogna dinanzi alla ‘venerazione’? E dire che a casa sua, almeno per un po’ di tempo, è stato preso sul serio, questo buffone d’artista, questo pallone gonfiato avido di ebbrezza! […] Chissà, forse un atteggiamento così passivo era possibile solo in un paese rimasto fanciullo, un paese in cui tutto il criticismo demo-politico non impedisce che gli facciano difetto proprio ogni critica e scetticismo in grande stile, un paese insomma che non ha mai avuto una profonda esperienza critica né sul piano razionale né su quello morale e tanto meno su quello dell’arte. Hanno preso sul serio D’Annunzio, la scimmia di Wagner, quell’ambizioso maestro di orge verbali…»
Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico, Adelphi, Milano 1997, pp. 573-574.
questo e’ quanto thomas mann vuole dire nel”dialogo impolitico”:gabriele d’annunzio interviene in guerra solo per un puro bisogno esteriore,non richiamandosi ad una sua etica e preoccupandosi di cio’ che comporta la guerra,per una esibizionistica affermazione del se’