Da tempo penso che la televisione costituisca il nuovo Centro Sacro. La forza centripeta che spinge tutti gli umani che sono o si avvertono periferici verso questo luogo è sempre molto evidente. In questi giorni, lo si vede con particolare chiarezza in due episodi. Il primo riguarda Berlusconi, che telefona a Giovanni Floris in trasmissione, con un particolare effetto di presenza-assenza. Berlusconi che telefona ad un conduttore televisivo ottiene questo singolare effetto proprio nella mancanza di quello che sembrerebbe un elemento necessario della realtà televisiva, ciè l’immagine. Il manifestarsi di una pura voce nel luogo dell’immagine è analogo ad un pronunciamento divino. Un nume irato rivolge a Floris parole di condanna. Non apparendo, ma facendo sentire la sua ira con la sua voce, Berlusconi riafferma la sua vera centralità, il nume delle TV appare dove vuole nella forma che sceglie.
Il secondo episodio è quello della contesa sul diritto dei movimenti pro life di replicare all’intervento di Peppino Englaro e della vedova di Welby nella trasmissione di Fazio e Saviano. Fazio e Saviano hanno costituito, col successo della loro astuta trasmissione, un perfetto Centro Sacro, molto più attraente rispetto a quelli costituiti da altri programmi. Questa maggiore potenza di attrazione è causata dalla presenza in studio di una vittima, ovvero dello stesso Saviano. Lo status di vittima (nel suo caso annunciata) conferisce, nella nostra società intrisa di pensiero vittimario, un’aura sacra. Così, le parole di Saviano hanno una qualità superiore, che non potrebbe appartenere ad alcun politico. E il suo programma attira le vittime e le mette in scena. Englaro e Welby sono vittime. I movimenti per la vita si sentono a loro volta esclusi/vittimizzati e ambiscono dunque ad entrare a loro volta in quel Centro. Ma è esattamente per questo stesso motivo che Berlusconi non può permettersi di apparire come uomo di puro potere, come ricco e influente e basta. Anche lui deve apparire vittima. Gli è assolutamente necessario. Per questo si atteggia sempre a tale: vittima dei giornali, dei comunisti, dei giudici… ecc. ecc. Il carisma della vittima è il più forte.
E’ negli anni ’80 che vanno ricercate le radici sociali e culturali di quell’Italia “gretta, superba e assassina” il cui archetipo ideale è la televisione odierna e il cui prototipo ottocentesco viene così definito nel film “Noi credevamo” di Mario Martone, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Anna Banti. Successo e professionalità furono le parole chiave di quel decennio stupido e criminale, assieme alla professionalità, tanto più evocata a parole quanto più mancava nei fatti. «Le parole sono importanti», diceva un altro cineasta, Nanni Moretti, alla fine del decennio in “Palombella rossa”, dopo avere schiaffeggiato una giornalista che aveva dato la stura ai più vieti luoghi comuni del linguaggio dell’epoca. Basti ricordare che ‘Arrogance’, ‘Égoïste’ sono alcune delle pubblicità più disgustose di quel decennio, impensabili dieci anni prima.
Naturalmente in questa impressionante regressione socio-culturale, che fu probabilmente, almeno in parte, pianificata dai “poteri forti” (cfr. la Trilaterale, il Piano di rinascita democratica di Licio Gelli e lo stesso pontificato di Karol Wojtyla), incise moltissimo la televisione. «Pertini non avrebbe firmato», si legge spesso nei cartelli dei manifestanti davanti al Quirinale in prossimità di promulgazioni di leggi o decreti controversi. Purtroppo Pertini firmò il decreto più incredibile nella storia repubblicana: un decreto emanato con urgenza da Bettino Craxi il 20 ottobre 1984, che riaccendeva le televisioni di Berlusconi spente da un pretore e sanciva di fatto l’esistenza di un monopolio nazionale nella televisione privata. Era solo in parte una “nuova” televisione. In realtà era anche un recupero della “vecchia” televisione familiare, con i suoi Mike Bongiorno, i suoi Corrado e le sue Raffaella Carrà, proprio nel momento in cui la Rai stava innovando il suo linguaggio e le sue tematiche. La concorrenza al ribasso spegneva quindi sul nascere una fase di autonomia e creatività. Già nel 1985, solo cinque anni dopo l’avvio dell’avventura di Canale 5, Federico Fellini filmerà “Ginger e Fred”, con al centro la volgarità e l’invadenza del cavalier Fulvio Lombardoni nelle vite degli italiani. Il film non ebbe successo, e dopo pochi anni fu trasmesso da Rete4, massacrato dagli spot televisivi che aveva voluto denunciare. La televisione è il “nuovo Centro Sacro” non solo perché rappresenta l’ultimo esito della logica vittimaria, ma anche, e soprattutto, perché, quale “mostro mite” in apparenza (ma feroce nella sostanza), è stata ed è lo strumento decisivo per instaurare e mantenere, nel campo della cultura di massa, una “dittatura dell’ignoranza” che è rigorosamente funzionale alla dittatura del plusvalore.