The Sacrifice of Socrates

Una sottile analisi delle vicende che portarono alla morte di Socrate e alla generazione della sua figura mitizzata in Platone, The Sacrifice of Socrates (Michigan State University Press 2012) di William Blake Tyrrel si inscrive in quella fioritura di testi che ha il suo radicamento nell’opera di René Girard. Tyrrel vede in Socrate una personalità liminale rispetto alla Città e ai suoi ordinamenti, che sono sacrificali: da un lato il filosofo ha in sé i segni vittimari più classici (brutto, diverso dagli altri per costumi e valori, quasi inumano nel suo eccezionale valore militare, corruttore di giovani in quanto distrugge in loro la fede nelle divinità tradizionali, e nelle virtù che queste garantiscono, e nelle pratiche religiose consuete su cui si regge la Polis). Tyrrel interroga i testi platonici che mettono in scena Socrate, ma anche le commedie che ne hanno fatto oggetto di riso da parte degli Ateniesi. Alla fine, Socrate appare come un vero e proprio pharmakos, mediante l’espulsione del quale un’Atene in piena crisi mimetica pensa di poter ristabilire la propria salute, minacciata dal miasma distruttore diffuso ovunque dall’elenchos di Socrate. Continua a leggere

Vittime e differenze

La cultura occcidentale contemporanea è profondamente segnata dal vittimismo. Tutti concepiscono se stessi come vittime attuali o potenziali, o si atteggiano a vittime. Anche i potenti lo fanno, e Berlusconi ne è stato l’esempio più chiaro. Come se la vittoria, il riconoscimento e l’onore dovessero spettare a chi presenta più marcati i caratteri della vittima. Perché vi siano vittime occorre però che vi siano persecutori, ed ecco che chi rivendica per sé il ruolo della vittima deve additare i suoi persecutori. Avviene continuamente, e avviene così che Grillo si presenti urlando furiosamente come vittima di Bersani, e Bersani di contro urli minaccioso che Grillo è lui il fascista vittimizzatore. Osservo che questo dilagare del vittimismo in Occidente coincide con un progressivo annientamento delle differenze. Nella coscienza collettiva occidentale ogni differenza è ormai vista come attuale o potenziale ingiustizia, e chi introduce differenze o sostiene le ragioni della differenza viene avvertito come persecutore o reazionario (i due termini tendono a essere intercambiabili). Poiché tutte le differenze devono sparire – tra uomo e donna, tra umano e animale, tra vecchio e giovane, e forse tra morto e vivo. Così chi si oppone al matrimonio omosessuale è un persecutore, chi va a caccia o a pesca è un persecutore, chi mangia carne è un persecutore, chi taglia un albero è un persecutore. La dialettica del vittimismo nel suo nesso con la negazione delle differenze produce mostri, e infine, venendo meno quella tra vittima e persecutore, sprofonda l’umano nel caos.

La retorica su Falcone e Borsellino

«XY è vivo / e lotta insieme a noi!». In tanti cortei dopo il 1968 è risuonato questo grido, in cui il nome di un caduto (ucciso dalla polizia o dagli avversari politici) veniva invocato. Si trattava sempre di vittime di morte violenta: di loro si affermava che in realtà erano vive, anzi continuavano a lottare. A differenza degli altri morti, essi mantenevano la capacità di agire, erano potenze, anzi in quanto vittime da morti erano più potenti che da vivi. Il fenomeno è ben noto, e precede di molto il 1968 (basta guardare alla Germania hitleriana), è diffuso a destra e a sinistra, e oggi riguarda anche Falcone e Borsellino. Continua a leggere

Centro del Centro

Foto stupenda dell’ottobre 2010: Gheddafi sta tra il dittatore yemenita e quello egiziano. C’è anche quello tunisino. Mai come in questi giorni appare in tutta la sua evidenza la verità fondamentale della condizione umana: il centro è il luogo della potenza ma anche quello della vittimizzazione. Il centro è il luogo da cui si irradia la potenza ma anche il punto del mirino reticolato di un’arma di distruzione. Tutto converge verso il centro.

Da uomo potentissimo a vittima inerme. Il linciaggio di Gheddafi, il trattamento inumano cui è stato sottoposto, sembrano scalfire ben poco la coscienza collettiva mediatizzata. Ancora una volta è evidente come l’alta considerazione in cui apparentemente è tenuta in Occidente la vita umana (e ora anche animale) sia solo una fragile crosta. Quel che J. Conrad aveva capito perfettamente, e noi che piangiamo per i gatti abbandonati ci rifiutiamo di vedere.

Indifferenziazione

Immagine eloquente. Un Presidente del Consiglio si produce in uno spot elettorale per elezioni locali come capo di un partito, da una televisione di sua proprietà. Tre ruoli che in lui non sono distinti. Berlusconi è il supremo segno di indifferenziazione in una fase di collasso del sistema delle differenze. Si distingue tra tutti proprio per questo. L’esito paradossale è sempre quello: il ruolo del Salvatore e quello della Vittima sono lo stesso ruolo.

Il nuovo Centro

Da tempo penso che la televisione costituisca il nuovo Centro Sacro. La forza centripeta che spinge tutti gli umani che sono o si avvertono periferici verso questo luogo è sempre molto evidente. In questi giorni, lo si vede con particolare chiarezza in due episodi. Il primo riguarda Berlusconi, che telefona a Giovanni Floris in trasmissione, con un particolare effetto di presenza-assenza. Berlusconi che telefona ad un conduttore televisivo ottiene questo singolare effetto proprio nella mancanza di quello che sembrerebbe un elemento necessario della realtà televisiva, ciè l’immagine. Il manifestarsi di una pura voce nel luogo dell’immagine è analogo ad un pronunciamento divino. Un nume irato rivolge a Floris parole di condanna. Non apparendo, ma facendo sentire la sua ira con la sua voce, Berlusconi riafferma la sua vera centralità, il nume delle TV appare dove vuole nella forma che sceglie. Continua a leggere