Mi sono ricreduto sulla mia critica alla Lettera agli Ebrei di san Paolo, che era tutto ciò che restava in me di “moderno” e di anticristiano. La critica di un “cristianesimo storico” a vantaggio di una specie di “cristianesimo essenziale”, che io ritenevo di aver colto in stile hegeliano, era assurda. Bisogna al contrario pensare al cristianesimo come essenzialmente storico, e Clausewitz ci aiuta a farlo. Il giudizio di Salomone dice tutto al riguardo: c’è il sacrificio dell’altro e il sacrificio di sé, il sacrificio arcaico e il sacrificio cristiano. Ma sempre di sacrificio si tratta. Siamo immersi nel mimetismo e dobbiamo rinunciare alle trappole del desiderio, che è sempre desiderio di ciò che l’altro possiede. Lo ripeto, non c’è alcun sapere assoluto possibile, siamo costretti a restare nel cuore della storia, ad agire nel cuore della violenza, perché ne capiamo sempre meglio i meccanismi. Saremmo in grado per questo di eluderli? Ne dubito. (72)
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Nessun desiderio è autonomo, secondo Girard. In ogni desiderio si annida l’Altro. E il pensare che la storia degli uomini tenda ad una conciliazione è illusorio e mistificante. Clausewitz intuisce l’approssimarsi della guerra ideologica totale, che sarà realizzata da quella forma di “hegelismo militare” che fu nel Novecento il leninismo, una guerra che non prevede il riconoscimento dell’altro e della sua ragione di essere altro, e ne prevede solo la liquidazione. La guerra ideologica è il medium tra la guerra classica e la violenza radicale e diffusa di oggi, una violenza che Girard ritiene indifferenziata, tale dunque da presentare i caratteri della crisi mimetica, questa volta globale e apocalittica.
Questa fiducia nella necessaria riconciliazione degli uomini è ciò che oggi mi lascia più a bocca aperta. Anch’io ne sono stato vittima, in una certa misura, e il mio libro Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo testimonia la fede in un sapere universale della violenza bastante a se stesso. Non ci credo più minimamente… (84)
Nei due passi citati qui emerge con chiarezza una ritrattazione, da parte di Girard, di un punto molto importante, che riguarda anche l’interpretazione della morte di Gesù. Nel Girard dei decenni scorsi la morte di Gesù non era un sacrificio, ma la negazione e la fine del sacrificio, che proiettava l’umanità al di fuori della logica sacrificale. Ora Girard invece (forse anche per influenza di Fornari) pensa che dal sacrificio sia impossibile uscire, e sia data solo la possibilità di sceglierne il modello. In ultima analisi, quello che Girard non può fondare è la libertà dell’umano. Che ci sia in lui un fondo di giansenismo?