Cacce sottili 6

I mondi si intersecano, si sovrappongono, spesso si oscurano a vicenda. C’è una grande ignoranza, ormai, una ignoranza di massa sulla natura e sugli animali. Tanto più si dilata la coscienza animalista tanto più la realtà animale viene sepolta nell’oblio o  mistificata. Questo sta insieme alla dilagante antropizzazione del pianeta, che sottrae terreno alla natura, confinandola nelle riserve e nei parchi. In Italia la cosa presenta un aspetto contraddittorio, ovviamente. Da un lato le pianure sono sempre più simili a formicai di cemento e asfalto, in cui si concentra la popolazione umana; dall’altro le montagne perdono ogni traccia di coltivazione, e avanza la foresta coi suoi abitanti animali. La Terra è infinitamente meno varia e interessante di un secolo fa. E’ anche per questo che ci si rifugia nel mondo piccolo.

Cento anni fa, a Tuthi, Baker dava ancora la caccia agli ippopotami che, di notte, devastavano i campi di cocomeri degli indigeni. Ma da tempo questo non succede più; vidi l’ultimo ippopotamo rimasto al giardino zoologico di Khartoum. Una caratteristica dei nostri viaggi è che, su superfici sempre più vaste, si riesce a vedere sempre di meno. E comunque ancora possibile riuscire a trovare una cicindela. Questo è uno dei motivi per cui ci si dedica alle cacce sottili: rimpicciolendo – o, meglio, affinando – le unità di misura, il mondo si ingrandisce ed aumenta la sua varietà. (123)

 Lo spirito della caccia sottile è lo spirito della caccia: la caccia è, nella sua essenza, ricerca di un incontro, di una ad-ventura. E ogni avventura si traduce in ricordo e racconto.

Per principio, la quantità dei ricordi non è sufficiente ad attestarne la profondità. L’incontro che feci per la prima volta nella cava di sabbia di Rehburg si ripeté continuamente, come le diverse combinazioni delle figure in un caleidoscopio. Ritornando, però, va precisandosi ciò che la prima volta era parso un incantesimo: i contorni di un genere, di una specie, si fanno più nitidi, disegnati nei loro tratti più sottili come la moneta incisa da un maestro. Di un incontro resta però sempre un  fondo irriducibile: nessuna ricchezza può essere maggiore di ciò che intimamente ci appartiene, la nostra interiorità. Il cacciatore e la sua preda sono una cosa sola, si incontrano nell’Uno. Ma questo già lo sapevano gli antichi, nelle loro danze,  nei loro riti. (138)

Così, nell’annuale rito della cattura delle lepri con le reti per i ripopolamenti dei territori di caccia, anche nella misera Padania si può godere di momenti di ebbrezza artemisia, sparando foto elettroniche. In cui l’animale si rivela per quel che è: tutta-bestia.

5 pensieri su “Cacce sottili 6

  1. -Di un incontro resta però sempre un fondo irriducibile: nessuna ricchezza può essere maggiore di ciò che intimamente ci appartiene, la nostra interiorità.-

    questa frase è degna di rilievo…

    un pò meno l’idea che in uno scatto sia possibile impalare
    tutta l’animalità della “bestia”.

  2. “C’è una grande ignoranza, ormai, una ignoranza di massa sulla natura e sugli animali”, afferma giustamente Brotto, segnalando, attraverso una serie di ‘marcatori’ (la “dilagante antropizzazione del pianeta”, l’abbandono delle attività agricole nelle montagne, le pianure ridotte a “formicai di cemento e di asfalto”), un processo che viene da lontano e che, nei nostri giorni, si è ormai concluso: il passaggio da una civiltà contadina plurimillenaria a una civiltà urbana e metropolitana. I contraccolpi che questa realtà determina sul piano della coscienza sociale sono all’origine della critica di tipo romantico della modernizzazione, che può assumere varie forme, tra cui la principale è oggi rappresentata da una sorta di religione ecologica e naturale. Quest’ultima tuttavia, lungi dal promuovere una maggiore conoscenza del mondo animale, crea, ad esempio, una situazione in cui “tanto più si dilata la coscienza animalista tanto più la realtà animale viene sepolta nell’oblio o mistificata”.
    In un testo di Thorstein Veblen, “Teoria della classe agiata”, risalente al 1899, questa rappresentazione della natura viene considerata come il residuo di una eredità feudale fondata sulla ostentazione del lusso. A questo proposito Veblen indica una serie di esempi come l’ammirazione per gli animali improduttivi (certi cavalli o i levrieri), che non servono a nulla, né alla caccia né alla pastorizia, e la cui eleganza è inversamente proporzionale alla loro utilità concreta. Oggi la passione per i più diversi animali, che, anche quando non lo sono, vengono trasformati in animali sinantropici (dalle tigri ai serpenti, dai pitbull alle iguane) sembra essere, in un ‘mix’ di consumismo, snobismo di massa e pericolosità sociale, la volgarizzazione di questo comportamento della ‘classe agiata’. Veblen parla anche dell’ammirazione per i grandi prati e i grandi parchi, che egli ricollega all’ottica del signore, il quale può permettersi il lusso di non destinare all’agricoltura una vasta estensione di terreno. Alla equazione tra bellezza e inutilità, stigmatizzata dal sociologo e teorico americano, si contrappone, in quello che è un grande confronto della cultura novecentesca le cui propaggini giungono sino ai nostri tempi, Theodor Wiesengrund Adorno, che non condivide questo punto di vista incentrato sulla utilità ed esprime una nostalgia estetica per i valori spirituali che sono radicati nel passato e che esprimono un’affermazione dell’individualità. Le “Cacce sottili” di Ernst Jünger rientrano, con tutta evidenza, in una dialettica che caratterizza ancor oggi la cultura e l’ideologia del ‘secolo lungo’.

  3. Lo sa, vero, caro Barone, che sia Lenin che Bucharin, e pure Trotzkij, erano gran cacciatori? Mi sovviene che nei “Manoscritti” Marx scrive di una società comunistica in cui la mattina si può andare a caccia e il pomeriggio a pesca…

  4. Caro Brotto, dovrebbe sapere, anche alla luce di altri interventi da me svolti nel Suo ‘blog’, che non sono un seguace né della ‘religione ecologica e naturale’ né di quella animalistica. Ho sempre apprezzato la caccia (anche se raramente l’ho praticata), appartengo a una famiglia di cacciatori e ho ben presenti sia l”ebbrezza artemisia’, che Lei evoca, sia la partecipazione delle grandi personalità del mondo comunista, che Lei cita, a questa attività. Il problema su cui ho cercato di polarizzare l’attenzione è ovviamente un altro: quello del rapporto tra la coppia concettuale ‘bellezza/utilità’ e la coppia concettuale ‘ideologia feudale/ideologia capitalistica’, quale viene delineato, attraverso il dialogo fra Veblen e Adorno, nella cultura novecentesca, ma anche quale si configura nelle mode zoofile del nostro tempo e della nostra società.

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