Non si facevano statue a Yahweh; ma Israele è la statua di Yahweh. Questo popolo è stato fabbricato come una statua di legno, a colpi d’ascia. Popolo artificiale. Quando entrò in Egitto era una tribù; è diventato una nazione in schiavitù. (In quattro secoli e mezzo non sono riusciti ad assimilarsi). Tenuti insieme da una terribile violenza.
Non assimilabili, non assimilatori. (I, 346)
Ciò che appare terribile ai miei occhi è il rifiuto che Simone Weil oppone alle sue stesse radici. La sua lettura dell’Antico Testamento e in particolare dei libri storici è contraria anche alla tradizione cattolica, dentro la quale infatti è impossibile collocarla, anche solo parzialmente, nonostante le simpatie che il suo pensiero ha, negli anni recenti, suscitato in molti pensatori cristiani di vario livello.
E ritorno sul tema della libertà: è esattamente il Dio liberatore dall’Egitto quello che per gli Ebrei e i Cristiani è il vero Dio (tanto che nell’interpretazione figurale Mosè è figura di Cristo), e Dio è liberatore proprio in quanto è libertà, non necessità. Mentre per la Weil il metafisicamente necessario traccia la definizione del divino, e del Bene, secondo quella Tradizione che non è possibile far coincidere totalmente né con l’Ebraismo né col Cristianesimo, pena la loro nullificazione nel mare magnum della metafisica eterna.
Il leitmotiv di questo passo è poi quello dell’artificialità e diversità dagli altri popoli, col tipico rovesciamento antisemitico dell’elezione. Chissà se oggi Simone Weil avrebbe parlato dello Stato di Israele come della Entità Sionista?
il fatto di vedere la libertà come qualcosa di irraggiungibile (o comunque molto difficile da raggiungere) la mette in secondo piano rispetto alla necessità che presuppone un bisogno vitale, perciò posso condividere questo pensiero di vedere Dio come una necessità (intesa come salvezza), prima che liberatore… e comunque c’è uno stretto rapporto tra le due.
Probabilmente il rifiuto delle sue origini ha origini profonde, legate al contesto della sua crescita e del suo pensiero…
La posposizione della libertà rimanda alle “cipolle d’Egitto” rimpiante dagli Ebrei liberati.
Le “origini profonde” possono essere attribuite anche all’antisemitismo di Hitler. In ogni caso il pensiero va giudicato per quello che è.
Fatico a capire la Weil, perché è molto spinozista ed altalena fra idealismo religioso e vera propensione alla costruzione d’una nuova fede: appunto la sua rifondazione. Ma la Weil,per buona pace per lei è probabile che non accettasse il mito dentro la religione: la religione è mitologia, l’ebraismo non è né originale né così santo da seguire, come del resto il cristianesimo shemitico ed aramaico. In fondo esser figli d’Abramo è pure esser figli di uno che aveva le idee poco chiare sul sesso, che incestuò con la sorella, cacciò un figlio e un altro lo stava per sgozzare su un presunto ordine divino. Be’ tutto ciò a pensarci, nell’età della Ragione, come storicamente da 250 si chiama la nostra età, è da brivido. Del resto la civilità è nata dalle crudeltà ancestrali dei nostri avi. Ma la mansuetudine della religione aimé è di là da venire, e non verrà neppure con le rifondazioni di fede sperate dalla Weil. In fondo dopo la liberazione di Ciro gli ebrei s’identificarono nel ceppo aramaizzante dell’est, e non s’integrarono mai con nessun popolo: fu decisione politica o religiosa? Il dilemma a livello storico, da Harvard ad Oxford, fra i massimi esperti d’ebraismo è tuttora aperto.
Buon blog