L’eterna dialettica dei pochi e dei molti, di questo si tratta qui, nel Trattato del ribelle di Ernst Jünger (Der Waldgang, 1980, trad. it. di F. Bovoli, Adelphi 1990, 10ª edizione 2007). Waldgang è la via del bosco, Wald, e il titolo italiano non mi piace, rende scolastico ciò che appartiene ad un’altra orbita. Un’orbita fortemente germanica, e profondamente reazionaria (dove reazionario non è connotato negativamente). La libertà piena è dei pochi, e quella dei molti ne è derivazione secondaria, questo è il senso di questo libro. Non è un caso che il modello della libertà che qui Jünger tematizza sia quello del proscritto dell’antica Islanda, dell’uomo bandito che diviene eroe selvatico, che vive fra gli animali e nella natura. Imboscato, che in Italia, terra anti-silvana per eccellenza, suona negativissimo, non può avere senso spregiativo nella lingua dei popoli che, come ha meravigliosamente scritto Elias Canetti, hanno negli alberi della foresta la prima intuizione della moltitudine (mentre gli Inglesi nelle onde del mare, wunderbar!). Va da sé che, nella mia visione, solo l’uomo cacciatore, colui che saluta ed è salutato con il weidmannsheil!, gode della libertà primigenia.
La dottrina del bosco è antica quanto la storia dell’uomo, e forse persino più antica. Se ne rinvengono le tracce in testimonianze venerabili che in parte soltanto oggi riusciamo a decifrare: è il grande tema delle fiabe, delle saghe, dei testi sacri e dei misteri. Se riconduciamo la fiaba all’età della pietra, il mito all’età del bronzo e la storia all’età del ferro, sempre ci imbatteremo in questa dottrina, purché il nostro occhio sia pronto a individuarla. La ritroveremo infine nell’epoca odierna dell’uranio, che potremmo chiamare età delle radiazioni. Sempre e dovunque c’è qui la consapevolezza che il mutevole paesaggio nasconde i nuclei originari della forza e che sotto l’apparenza dell’effimero sgorgano le fonti dell’abbondanza, del potere cosmico. Questo sapere non rappresenta soltanto il fondamento simbolico-sacramentale delle Chiese, non soltanto si perpetua nelle dottrine esoteriche e nelle sètte, ma costituisce il nucleo dei sistemi filosofici che si propongono fondamentalmente, per quanto distanti possano essere i loro universi concettuali, di indagare il medesimo mistero: inteso come idea, monade originaria, cosa in sé, esistenza nell’oggi, è un mistero palese a chiunque sia stato iniziato a esso almeno una volta nella vita. Se uno ha toccato l’essere anche una volta soltanto, ha varcato il margine lungo il quale hanno ancora peso le parole, le nozioni, le scuole, le confessioni. Ma in compenso ha imparato a venerare ciò da cui esse traggono vita (p. 70).
Ma esistono due poli: il libero vagare nei boschi e la salda centralità dell’oikos, della casa inviolabile. Che diviene violabile e violata quando lo Stato è fatto troppo forte, e si insinua ovunque, o quando è troppo debole, e lascia spazio alle scorrerie dei ladroni. O quando è l’una cosa e l’altra, come lo Stato italiano contemporaneo. Giorni fa, alle 5 del mattino, la mia vicina di casa si è svegliata di colpo, gli occhi colpiti dal raggio di una torcia elettrica. Nella camera da letto uomini estranei, venuti a saccheggiare. Urla, e terrore della famiglia. La mia è stata salvata dalle sbarre di ferro e dalle porte blindate che anni fa ho fatto installare. A casa mia ho fucili da caccia a profusione, ma se li usassi in simili circostanze sarei subito indagato per omicidio o tentato omicidio. La reazione deve essere proporzionata all’offesa, se un uomo appare di notte accanto al mio letto, prima di sparare debbo aspettare che mi accoltelli. Problemi inestricabili, morali e legali.
Lunghi periodi di pace favoriscono l’insorgere di alcune illusioni ottiche. Tra queste la convinzione che l’inviolabilità del domicilio si fondi sulla Costituzione, che di essa si farebbe garante. In realtà l’inviolabilità del domicilio si fonda sul capofamiglia che, attorniato dai suoi figli, si presenta sulla soglia di casa brandendo la scure. Ma non sempre questa verità è evidente, né dev’essere invocata come pretesto per attaccare la Costituzione. È proprio vero che l’uomo è garante della sua parola e non la parola dell’uomo che la pronuncia – una delle tante ragioni per cui la nuova legislazione incontra così scarso favore tra il popolo. La formula dell’inviolabilità domiciliare suona bene, ma noi viviamo in tempi in cui i funzionari dello Stato sono bravissimi a giocare a scaricabarile. (p. 104)
L’ho appena finito di leggere. Uno dei pochi libri che possono provocare nel lettore un’autentica conversione intellettuale.
L’ha ribloggato su Brotture.