Che cosa si intende per verità? E per realtà? Ovviamente questa doppia domanda è filosoficamente ingenua, anche perché evoca subito la questione del che cosa e apre la strada all’aporia. E tuttavia come non impelagarsi in questioni del genere quando ogni libro che si rispetti, nell’ultimo secolo secondo i modi tipici del modernismo e del postmodernismo, finisce per porre al lettore siffatti interrogativi, anche ove la coscienza dell’autore, in quanto è manifesta nel libro stesso, ne sembri estranea? Forse nessuna cultura ha il potere di definire in modo stabile questi concetti, ma quello della semplice vita? Secondo Giorgio Agamben, nella nostra cultura il concetto della vita non viene mai definito come tale. Con questa affermazione inizia il suo L’aperto (Bollati Boringhieri, Torino 2002), che reca il sottotitolo L’uomo e l’animale e costituisce un complemento al famoso e bellissimo Homo sacer (Einaudi 1995). L’aperto mi pare un libro di domande. Ad es., a pag.14 leggo: Che cos’è l’uomo, se esso è sempre il luogo – e, insieme, il risultato – di divisioni e cesure incessanti? Lavorare su queste divisioni, chiedersi in che modo – nell’uomo – l’uomo è stato separato dal non-uomo e l’animale dall’umano, è più urgente che prendere posizione sulle grandi questioni, sui cosiddetti valori e diritti umani. E, forse, anche la sfera più luminosa delle relazioni col divino dipende, in qualche modo, da quella – più oscura – che ci separa dall’animale. (p. 24) E penso quanto abbiano da dire in proposito le antropogenesi di René Girard ed Eric Gans, i quali certo concordano su questa urgenza. Se vogliamo salvare l’umano dobbiamo mantenere – o restaurare là dove è stata recentemente compromessa – la differenza tra la vita animale e la vita umana. Leggo a pag. 29: Quando la differenza si cancella e i due termini collassano l’uno sull’altro – come sembra oggi avvenire -, anche la differenza tra l’essere e il nulla, il lecito e l’illecito, il divino e il demonico viene meno e, in suo luogo, appare qualcosa per cui perfino i nomi sembrano mancarci. Come non riferire quel qualcosa ad una condizione di violenza del tutto priva di limiti, cioè al caos? Leggendo questo breve testo (99 pagine, un numero suggestivo) non si può evitare di pensare quanto singolarmente vicino sia il pacifico animalista di oggi al nazista per cui la vita dell’ebreo non è umana.
L’umanizzazione integrale dell’animale coincide con una animalizzazione integrale dell’uomo (p.80).
Creature come tagliate dal “prima” e dal “dopo”, siamo “instabili” ( perché creature “tratte dal nulla”, secondo sant’Agostino). Siamo sistemi caotici, a un tempo semplici-e-complessi, aperti e suscettibili di cambiamento a ogni istante… nuovo, sorgente… C’est la vie !
L’ha ribloggato su Brotture.