Sono convinto che il comportamento omosessuale sia tanto più diffuso quanto più la società è pervasa di antagonismo tra i suoi membri, o, per usare una parola corrente, quanto più essa è competitiva. Il comportamento omosessuale ha infatti, nella mia visione, una base fortemente mimetica, sulla quale intendo sviluppare una riflessione. La società greca antica, in cui, come è noto, il comportamento omosessuale aveva la forma della pederastia, era una società i cui membri maschi liberi vivevano una dimensione di agonismo continuo, così come agonistici erano i rapporti tra le città dell’Ellade. Non è sorprendente quindi la diffusione in essa del comportamento omosessuale, così come non è sorprendente la sua diffusione e accettazione in Roma a seguito della sua ellenizzazione, e del suo passaggio da una società patriarcale solidaristica ad una imperiale-cosmopolita individualistico-competitiva.
Ma sulla opportunità e liceità dell’amore omosessuale fiorì nella Grecia un dibattito che vide pronunciamenti di filosofi come Platone, Aristotele e Plutarco. Qui riporto il passo delle Leggi (Libro VIII) in cui è trattata la questione.
ATENIESE: Non appena giunsi nel mio discorso alla questione riguardante l’educazione, vidi ragazzi e ragazze che si facevano reciprocamente manifestazioni d’affetto: e fui naturalmente colto dal timore, pensando che cosa si dovesse fare in uno stato simile in cui i giovani e le giovani sono bene allevati, liberi dalle fatiche più pesanti che attenuano il desiderio di eccessi, occupati tutti quanti, per tutta la vita, a fare sacrifici, feste, e cori. In che modo allora, in questo stato, si potrà stare lontani da quelle passioni che gettano la maggior parte delle persone in condizioni di estrema gravità, passioni da cui la ragione ordina di astenersi, se solo potesse diventare legge? E non c’è da stupirsi se le norme precedentemente stabilite tengono a freno la maggior parte di quelle passioni – il proibire infatti di arricchirsi eccessivamente costituisce un bene non piccolo per la temperanza; e tutto il complesso dell’educazione è stato ordinato secondo delle leggi che mirano a questi stessi scopi; ed inoltre l’occhio dei magistrati, obbligato a non guardare altrove, ma a controllare sempre e soprattutto i giovani, cerca di frenare, per quanto è umanamente possibile, le altre passioni -; ma come guardarsi dagli amori dei bambini, maschi e femmine, e da quelli delle donne che assumono il ruolo di uomini, o da quelli degli uomini che assumono il ruolo di donne, donde scaturisce tutta una serie di mali sia per gli uomini in privato, sia per gli stati interi? E quale farmaco, adatto in ciascuno di questi casi, si potrebbe trovare per sfuggire ad un simile rischio? Non è per nulla facile la questione, Clinia. E infatti, se tutta Creta e Sparta ci vengono non poco in aiuto in tutte le altre cose, quando fissiamo delle leggi che sono diverse dalle comuni consuetudini, intorno agli amori – diciamolo con franchezza dato che siamo fra di noi – ci sono assolutamente contrarie. Se qualcuno allora, formandosi alla natura, ristabilisse la legge in vigore prima di Laio, affermando che è giusto che i maschi non si uniscano con i maschi o con i ragazzi, come se fossero donne, nell’unione sessuale, e chiamasse a testimone la naturale inclinazione degli animali, dimostrando a tal proposito che nessun maschio ha relazioni con un altro maschio perché questo è contro natura, ricorrerrebbe forse a un’argomentazione persuasiva, ma in totale disaccordo con i vostri stati. Inoltre, proprio quel fatto su cui diciamo che il legislatore deve riporre la massima attenzione, non si accorda con questa materia. Noi infatti cerchiamo sempre quale, fra le leggi stabilite, conduce alla virtù e quale no: coraggio, allora, se fossimo d’accordo nel stabilire per legge che le consuetudini attuali sono buone o, in ogni caso, nient’affatto vergognose, quale contributo potrebbero darci per incrementare la virtù? Forse esse susciteranno nell’anima di chi viene persuaso l’inclinazione al coraggio, o in quella di chi persuade il genere della temperanza? O nessuno dovrebbe mai lasciarsi persuadere da queste cose, facendo, piuttosto, tutto il contrario? E non biasimerà ognuno la mollezza di chi cede ai piaceri e non è in grado di resistervi? E non criticherà quell’uomo che imita la donna e cerca di farsi simile ad essa? Chi fra gli uomini stabilirà per legge questo costume di vita? Nessuno, credo, se ha in mente che cos’è la vera legge. Ma come possiamo dire che quello che diciamo è vero? In effetti è necessario osservare qual è la natura dell’amicizia, della passione, e dei cosiddetti amori, se si vogliono comprendere rettamente tali questioni: due sono le specie di questi stati d’animo, e da queste due specie scaturisce un’altra terza specie, ma poiché vi è un solo nome che tutte le comprende, nascono difficoltà di ogni genere che rendono oscura l’intera materia.
CLINIA: E come è possibile?
ATENIESE: Noi diciamo che il simile ama il suo simile, riguardo ad una qualche virtù, e l’uguale il suo uguale, ma diciamo anche che l’indigenza ama la ricchezza, che è di genere opposto: ora quando l’una o l’altra di queste inclinazioni si fanno intense, diamo il nome di amore.
CLINIA: Giusto.
ATENIESE: L’attrazione che scaturisce dai contrari è terribile e selvaggia, e spesso non trova in noi rispondenza, mentre quella che scaturisce dai simili è dolce e trova tutta la vita rispondenza: quella che nasce dalla combinazione delle due innanzitutto non è da intendersi, né è facile comprendere che cosa vuole che accada chi ha in sé questa terza specie d’amore; e poi si è perplessi, perché uno è trascinato in opposte direzioni, e uno stato d’animo lo incita a cogliere la stagione della giovinezza, e l’altro glielo vieta. Chi infatti ama il corpo, e ha fame della giovinezza come di un frutto maturo, incita se stesso a saziarsene, e non attribuisce alcun onore alla disposizione dell’anima della persona amata: chi invece assegna un valore secondario al desiderio del corpo, osservandolo piuttosto che amandolo, mentre la sua anima concupisce un’altra anima, ritiene oltraggioso che un corpo voglia saziarsi di un altro corpo, e rispettando e venerando la temperanza, il coraggio, la nobiltà d’animo, l’intelligenza, vorrebbe sempre vivere castamente insieme al casto oggetto del suo desiderio. Questa è la terza specie d’amore che risulta dalla mescolanza di quelle due, e che ora abbiamo trattato per terza. E se tale è la natura di queste tre specie d’amore, forse bisogna che la legge le impedisca tutte e tre, vietando che nascano in noi, o non è chiaro che vorremmo che nel nostro stato vi fosse l’amore per la virtù, quell’amore che desidera che il giovane diventi il migliore, mentre impediremmo, nei limiti del possibile, gli altri due? Come dobbiamo parlare, caro Megillo?
MEGILLO: Quello che hai detto ora intorno a queste cose è assolutamente giusto, straniero.
ATENIESE: Dunque, a quanto pare, sei d’accordo con me, amico, e del resto lo pensavo: non ho bisogno di esaminare che cosa la vostra legge pensi a tal proposito, ma mi è sufficiente accettare il fatto che tu in questo discorso sia d’accordo con me. Dopo di che, più avanti, cercherò di persuadere anche Clinia, incantandolo. Questa è dunque una concessione che fate a me, ma ora torniamo a dare completa esposizione delle leggi.
MEGILLO: Giustissimo.
ATENIESE: Dovendo stabilire questa legge, posseggo in questo momento un’arte, per certi versi facile, ma che, inun certo senso, è in assoluto la più difficile.
MEGILLO: Come dici?
ATENIESE: Noi sappiamo che anche ora la maggior parte degli uomini, benché viva illegalmente, evita a proposito e diligentemente le relazioni intime con le belle persone, e non lo fa involontariamente, ma il più possibile di sua spontanea volontà.
MEGILLO: E quando?
ATENIESE: Quando un tale abbia ad esempio un bel fratello o una bella sorella. E allo stesso modo la stessa legge non scritta che riguarda il figlio e la figlia osserva in modo assai conveniente che non ci si corichi con loro, né apertamente, né di nascosto, o che non si abbiano contatti con costoro per un affetto inteso diversamente da come lo si dovrebbe intendere: e in ogni caso non si insinua affatto nella maggior parte delle persone il desiderio di simili relazioni.
MEGILLO: Vero.
ATENIESE: Dunque un piccolo discorso spegne tutti i piaceri come questi?
MEGILLO: Quale discorso?
ATENIESE: Affermare cioè che queste sono azioni assolutamente empie, odiose alla divinità, e le più turpi fra tutte le azioni vergognose. E non è forse questo il motivo, cioè che a tal proposito tutti dicono la stessa cosa, e ciascuno di noi come nasce sente sempre e ovunque raccontare le stesse cose, tanto nella commedia destinata a suscitare riso, quanto in ogni rappresentazione seria che viene detta “tragedia”, quando vengono introdotti in scena i Tieste, gli Edipi, o i Macarei, inconsapevoli amanti delle loro sorelle, che, avendo visto la verità dei fatti, infliggono prontamente a se stessi la morte come castigo della loro colpa?
MEGILLO: Quel che dici è giustissimo, vale a dire che questa fama tramandata ha un’incredibile potenza, se nessuno emette in alcun modo neppure un soffio che sia contrario alla legge.
ATENIESE: è dunque giusto ciò che si diceva un momento fa, e cioè che il legislatore che vuole assoggettare quella passione che rende particolarmente schiavi gli uomini può vedere facilmente come trattarla: rendendo sacra presso tutti questa tradizione, allo stesso modo presso gli schiavi e i liberi, i fanciulli e le donne, e così presso tutta la città, darà solidità a questa legge.
MEGILLO: Certamente. Ma come sarà possibile far sì che tutti sostengano volentieri una cosa di questo genere?
ATENIESE: Giusta osservazione: e proprio questo ho detto prima, e cioè che ero in grado di possedere un’arte in vista di questa legge che regola secondo natura le unioni carnali finalizzate alla procreazione, evitando che ci si astenga dall’unione fra maschi, in modo che non si elimini premeditatamente il genere umano disperdendo il seme sulle pietre e sui sassi, dove mai il seme potrà mettere le sue radici e trovare una natura feconda, e lo si possa tenere lontano da ogni grembo di donna nel quale tu non vorresti che nascesse. Se questa legge avrà durata e potere, così come ora ha potere sulle unioni carnali con i genitori, se giustamente vincerà anche nelle altre unioni illecite, allora determinerà una serie infinita di beni. Prima di tutto si fonda sulla natura, e, quindi, fa in modo di tenere lontani gli uomini dal furore e dalla follia erotica, da tutti gli adulteri, da tutti gli eccessi nel bere e nel mangiare, e li rende affettuosi verso le loro mogli: ma molti altri beni potrebbero nascere, se si riuscirà ad essere padroni di questa legge. Forse potrebbe comparire dinanzi a noi un uomo energico e giovane, pieno di molto sperma, e ascoltando la legge che abbiamo stabilito ci insulterà aspramente come se avessimo stabilito delle norme sciocche e impossibili, e urlerà dappertutto: in considerazione di queste cose io feci quel discorso, e cioè che possedevo un’arte, da un lato la più facile di tutte, e dall’altro la più difficile, che controllasse che questa legge, una volta stabilita, durasse nel tempo. è infatti assai facile comprendere quale legge è possibile applicare, e come – diciamo infatti che se questa norma verrà adeguatamente consacrata renderà schiava ogni anima e farà in modo che con senso di timore obbediscano alle leggi stabilite -, ma ora siamo giunti ad un punto che sembra che ciò non possa verificarsi, così come non si crede possibile che uno stato intero trascorra tutta la vita praticando la consuetudine dei pasti in comune. Ma i fatti provano che anche presso di voi avviene così, benché neppure nei vostri stati viene ritenuto conforme a natura il fatto che Le donne vi prendano parte. Per questa ragione, allora, e cioè per la forza dell’incredulità, ho detto che era assai difficile stabilire per legge queste due consuetudini.
MEGILLO: Quello che tu dici è giusto.
ATENIESE: Volete che io faccia il tentativo di dirvi un certo discorso, che ha in sé un certo grado di persuasione, dicendo qualcosa che non è al di sopra delle umane possibilità, ma può avvenire?
CLINIA: Come no?
ATENIESE: Si asterrà più facilmente dai piaceri d’amore e si conformerà volentieri e in modo conveniente alla norma stabilita intorno a questa materia chi ha un bel corpo e non trascura di esercitarlo, oppure chi ha un corpo debole?
CLINIA: Molto dì più chi non trascura di esercitare il proprio corpo.
ATENIESE: E non abbiamo mai sentito parlare del Tarantino Icco a proposito della gara olimpica e di altre competizioni? Per l’ambizione di vincere queste gare, possedendo tanto l’arte quanto il coraggio, insieme alla temperanza, nel suo animo, secondo quanto si racconta, non toccò mai donna o bambino in tutto quel periodo in cui l’allenamento era più intenso: e lo stesso discorso vale per Crisone, Astio, Diopompo, e molti altri. Eppure erano educati, per quanto riguarda le anime, in maniera di gran lunga peggiore rispetto ai miei e ai tuoi concittadini, Clinia, mentre pieni di vigore erano i loro corpi.
CLINIA: Quello che dici è vero. Anche gli antichi sostengono con forza, parlando di questi atleti, che allora le cose avvennero effettivamente così.
ATENIESE: Ebbene? Costoro per conseguire una vittoria nella lotta, nelle corse, e in altre gare del genere ebbero il coraggio di astenersi da quella pratica che molti definiscono felice, mentre i nostri figli non riusciranno a resistere in vista di una vittoria molto più nobile, vittoria di cui noi parleremo loro sin da bambini nei miti, e nei racconti, e nei canti, come della più bella che si possa conseguire, e della quale, incantandoli, li affascineremo?
CLINIA: Di quale vittoria parli?
ATENIESE: Della vittoria sui piaceri, per cui, se si riesce a dominarli, si vive felici, mentre se si è dominati, accade tutto il contrario. Ed inoltre la paura di compiere qualcosa che non sia affatto lecito non avrà, secondo noi, una forza tale che li farà dominare su quelle passioni sulle quali altri, inferiori a loro, hanno dominato?
CLINIA: è naturale.
ATENIESE: Poiché siamo giunti a questo punto parlando di questa legge, e siamo caduti in difficoltà a causa della malvagità dei molti, io dico che la nostra legge deve assolutamente procedere, dicendo, riguardo a queste stesse questioni, che i nostri cittadini non devono essere peggiori degli uccelli e di molti altri animali, i quali, generati in grandi frotte, sino all’età della procreazione, non ancora accoppiati, vivono casti e puri, e quando giungono all’età giusta, il maschio si accoppia con la femmina che più gli è gradita, e la femmina con il maschio, e vivono tutto il resto del tempo nella santità e nel rispetto della giustizia, mantenendo stabili i primi accordi del loro amore: bisogna che i nostri cittadini siano appunto migliori delle bestie. E se si lasciano corrompere dagli altri Greci e dalla maggior parte dei barbari, vedendo e anche sentendo dire che quell’Afrodite che è detta priva di ordine ha grande potere presso di loro, e così quelli non siano più capaci di dominarsi, bisogna che i custodi delle leggi, diventando legislatori, cerchino di escogitare una seconda legge.
CLINIA: Quale legge hai deciso di stabilire per loro, se la legge che ora è stabilita sfugge loro di mano?
ATENIESE: è chiaro che è quella che viene per seconda, subito dopo questa, Clinia.
CLINIA: Di quale parli?
ATENIESE: Parlo di una legge che renda quanto più è possibile senza allenamento la forza dei piaceri, volgendo in altre parti del corpo, attraverso le fatiche, l’afflusso e il nutrimento di quella forza. Questo potrebbe avvenire, se nel comportamento riguardante i piaceri sessuali non vi fosse una totale mancanza di pudore: se per vergogna, infatti, quelli facessero scarso uso dei piaceri sessuali, anche la padrona che hanno in sé risulterà indebolita. Ritengano dunque nobile compiere tali pratiche di nascosto, e questa consuetudine, considerata come usanza e legge non scritta, diventi legge, mentre sia turpe il non nascondersi, ma non il non agire affatto in tal modo. E così questo comportamento vergognoso e nobile sia stabilito nella nostra legge secondariamente, avendo un valore di secondaria importanza, e comprendendo in tre generi quell’unico genere formato da quelli che sono corrotti nella loro natura, e che diciamo che sono inferiori a se stessi, li si costringerà a non andare contro la legge.
CLINIA: Quali sono questi generi.
ATENIESE: La pietà verso gli dèi, l’amore per gli onori, e il desiderio non di bei corpi, ma delle nobili indoli dell’anima. Queste cose che abbiamo detto come in un mito sono delle preghiere che, se si realizzassero, rappresenterebbero un gran bene per tutti gli stati. Forse, se il dio vorrà, riusciremo con la forza ad ottenere l’una o l’altra di queste due condizioni riguardo ai piaceri d’amore: o che nessuno abbia il coraggio di toccare nessun cittadino libero e legittimo che non sia, per il marito, la sua sposa, e che nessuno sparga semi illegittimi e bastardi su concubine, o, essendo sterile, sui maschi, andando contro natura; oppure che si eliminino del tutto le relazioni intime fra maschi, e riguardo alle donne, se qualcuno avrà relazioni intime con qualcuna che non sia entrata in casa sua con l’auspicio degli dèi e con le sacre nozze, sia essa comprata o sia stata acquistata in qualche modo, e questo fatto non sia nascosto a nessuno, uomini e donne, risultino da noi fissate correttamente, a quanto pare, le leggi, se stabiliamo la norma per cui egli sia privato dei diritti civili, come fosse realmente uno straniero. Questa legge, sia che si debba dire che è una, o anche che sono due, sia stabilita a proposito dei piaceri sessuali e di tutti i piaceri d’amore in genere che, mossi da questi desideri, fanno in modo che noi intrecciamo delle relazioni, comportandoci più o meno rettamente.
Sono perfettamente d’accordo. Penso al Giappone, per esempio. Nella società nipponica il comportamento omosessuale (anche lesbico), seppur perlopiù desessualizzato e sublimato attraverso forme di ammirazione per il “senpai” (compagno più vecchio), è parte integrante di una cultura in cui il grado di competitività riflette forse un senso di mimesis molto accentuato, lei che ne pensa?
Credo che la società nipponica sia una delle più internamente competitive che siano mai comparse sulla terra. Il ritualismo che la imbeve fin nei dettagli più minuti è una chiara prova della potenza delle forze mimetiche che esso deve controllare.
“L’omosessualità”, scriveva Platone all’epoca del Simposio, “è considerata tanto vergognosa dai barbari e da coloro che vivono sotto governi dispotici quanto la filosofia è considerata altrettanto vergognosa dalle stesse persone, perché non è, a quanto pare, interesse di quei governanti che grandi idee vengano inculcate nei loro sudditi, oppure amicizie solide o amore appassionato – tutte cose che l’omosessualità è in grado di generare”.In seguito, in vecchiaia, deluso e amareggiato, la condanna ne le Leggi, la sua ultima opera. Questo testo è una lunga riflessione politica sullo stato, dove viene trattato anche il seguente problema: «come [in uno Stato] si potrebbe garantirci dagli amori precoci di fanciulli e fanciulle, dall’omosessualità maschile e femminile, da queste perversioni che sono responsabili di incalcolabili sciagure, non solo per la vita privata dei singoli, ma anche per l’intera società?».
Qui Platone probabilmente condivide la legislazione precedente a Laio, la quale considerava «indecente l’amplesso tra maschi e l’unione con adolescenti».E riprende il concetto di “contro natura” sostenuto da Aristotele, il quale nell’Etica Nicomachea dice che «fare all’amore tra maschi» è uno dei «comportamenti bestiali».
Le omosessualità sarebbero portatrici di “incalcolabili sciagure”, ovvero di possibilità spaventose, forse di eccessi di godimento legati all’egoismo di un piacere fuori dal controllo di qualsiasi potere o stato. Queste idee – insieme alla paura o “paranoia” di poter regredire tramite le omosessualità allo stato animalesco, non-umano e addirittura “contro natura”, passeranno, attraverso gli stoici ( Seneca, p.e.) al cristianesimo e alla grande guerra condotta dal cristianesimo contro eros, solo per affermare che uomini e donne sono persone, destinate a un amore che va oltre la “carne” ( un’invenzione stoica che diventa tipicamente cristiana).
Il cristianesimo apre a un reale più largo, ma diffida di eros ( “gli dà da bere del veleno”, scriverà Nietzsche in Genealogia della morale) e lo destina al matrimonio e alla generazione, se proprio non se ne può fare a meno, perché il desiderio è finalizzato a una beatitudine non-sessuata. Tutte le relazioni e il godimento all’interno delle relazioni dovranno così attuarsi sul modello paradossale sia della Sacra Famiglia ( composta da una vergine, un padre che non è un padre e uno Spirito santificatore, che è soffio, vento divino generatore, metaforicamente raffigurato da un uccello), sia dalla ss. Trinità ( composta da un dio-relazione espresso nel Padre il Figlio e lo Spirito, un’aporia alla quale talvolta si aggiunge, dogmaticamente, la figura della Madonna, vergine & madre, “figlia del tuo figlio”, come si esprimeDante).
Il termine “godimento” implica qualcosa di intimo e di scabroso, vi si sospetta sempre la possibilità di un temibile eccesso, forse di una gioia eccessiva… Godimento risale, per filiazione sematica ed etimologica piuttosto complessa all’elaborazione agostiniana della coppia dell’ UTI e del FRUI [Sant’Agostino, De moribus Ecclesiae Catholicae, le Diversis Quaestionibus, le Doctrina Christiana et le De Trinitate]. Uti rimanda a godere di, e frui a godere. Da dove si origuna il termine giuridico di usufrutto.
Abbiamo così da una parte l’amore (caritas), che appartiene a Dio, che procura il godere (frui). Ricompensa di colui che fa un buon uso del mondo. D’altra parte abbiamo l’amore (cupiditas), del quale fa parte il desiderio sessuale, che consiste nell’utilizzare ( il proprio corpo e quello degli altri), nello sfruttare, nell’usare (uti) il proprio oggetto per godere d’altra cosa, per pervenire ad altri fini. E’ un cattivo uso del mondo. Sant’Agostino, che se ne intendeva perché da giovane aveva conosciuto i piaceri omosessuali, fa dunque una distinzione tra un godimento non retto, colpevole, e un buon godimento in riferimento alla realtà divina e alla legge rivelata da tale realtà divina. Anche senza credere nelle divinità, non si può che essere d’accordo nel ritenere cattivo e perverso quel godimento che comporta l’abuso dell’altro e il male del prossimo.
Naturalmente questo modello di “santità” conforme alla fede e alla ragione è arduo da seguire, e la gente fa quello che vuole, pur di godere. Non riesce a capire che ognuno, ognuna, per essere compiutamente persona è all’impossibile che è tenuto. La soluzione dell’ultimo Platone è quello di un governo di filosofi virtuosi e purificatori, in grado di imporre leggi “sacre” e restrittive, un po’ come fanno i talebani in Afghanistan. L’applicazione pratica delle ultime idee platoniche, dà dunque luogo alle crudeltà di cui, ancora oggi, testimonia l’attualità.
Chissà perché, dopo Platone ma forse già prima, gli amori degli altri appaiono sempre ignobili e il fulmine non cessa di cadere sul capro espiatorio di turno. Cosa c’è, oggi, di più virtuoso se non sacrificare una checca ad Allah. Per semplice riflesso mimetico, pare che sempre più numerosi cristianisti abbiano cominciato a chidersi: “ Perché ad Allah sì e a Cristo no?”. Forse uno dei grandi compiti del cristianesimo, invece di favorire la conversione della cristianità ( o perlomeno quello che oggi ne resta) all’islamismo platonizzante, in una società assediata dal nulla, è quello di trasformare eros (questo tenero dèmone, che tuttavia non è un innocuo cagnolino) in potenza di Resurezione dei corpi, delle anime e dello spirito. In ogni caso, non è da oggi, che gli amanti non sono messi troppo bene. Gli amanti in genere, e in particolare gli amanti definiti “omosessuali”, sono imputati non solo di cattivo godimento ( perché utilitaristico, non generativo, legato all’egoismo del piacere, ecc.), ma anche, paradossalmente, invidiati perché sospettati di godere di più e meglio. Per evitare sia i vecchi stronzi amareggiati, con i pantaloni arrotolati ed un bastone, sia i virtuosi talebani platonizzanti che per ogni minima e modesta deviazione fanno un sacco di brutte storie, gli amanti, ancora oggi, forse dovrebbero seguire il consiglio di Hegel: quello di nascondersi.
A mio parere la condanna arcaica dell’omosessualità (sì, perché la transizione nel cristianesimo non è tanto da Platone e filosofia greca quanto dalla severa condanna veterotestamentaria) va collegata al terrore della confusione, del venir meno delle differenze e del caos violento. L’omosessualità viene vista come segno di indifferenziazione, e quindi di crisi mimetica e dissoluzione della società. Perciò viene repressa con tanta severità. Il punto è questo, ma non lo vede nessuno, eccettuato Girard.
Ecco cosa ci dice René Girard a tale proposito:
« Un des avantages [d’envisager] la genèse [de certaines formes au moins d’homosexualité] par la rivalité c’est qu’elle se présente de façon absolument symétrique chez les deux sexes. Autrement dit, toute rivalité sexuelle est de structure homosexuelle chez la femme comme chez l’homme, aussi longtemps toutefois que l’objet reste hétérosexuel, c’est-à-dire qu’il reste l’objet prescrit par le montage instinctuel hérité de la vie animale. […] L’homosexualité correspond forcément à un stade « avancé » du désir mimétique mais à ce même stade peut correspondre une hétérosexualité dans laquelle les partenaires des deux sexes jouent, l’un pour l’autre, le rôle de modèle et de rival aussi bien que d’objet. La métamorphose de l’objet hétérosexuel en rival produit des effets très analogues à la métamorphose du rival en objet. C’est sur ce parallélisme que se base Proust pour affirmer qu’on peut transcrire une expérience homosexuelle en termes hétérosexuels, sans jamais trahir la vérité de l’un et de l’autre désir. C’est lui, de toute évidence, qui a raison contre tous ceux qui, soit pour l’exécrer, soit au contraire pour l’exalter, voudraient faire de l’homosexualité une espèce d’essence. » René Girard in Des choses cachées depuis la fondation du monde.
Se ho capito bene, Girard – contrariamente sia agli esacratori sia agli esaltatori delle omosessualità – non considera l’omosessualità come una specie di essenza ( che tra l’altro porta all’assunzione della maschera fissa e contratta dell’attivista-gay), ma una delle varianti del desiderio mimetico, una variante legata alla rivalità.
Quanto alla condanna arcaica dell’omosessualità, sono d’accordo che la transizione della condanna nel cristianesimo non sia “tanto da Platone e filosofia greca quanto dalla severa condanna veterotestamentaria”, che tra l’altro transita anche nel Corano ( VII sec.). In effetti, pare che alla base della nostra civilizzazione vi sia, oltre al riconoscimento della commovente e ineliminabile differenza sessuale, la proibizione di fottere l’Altro, di incularlo, specialmente se è un ospite e non un nemico ( nel qual caso pare ammissibile qualche eccezione). L’antica civilizzazione della Bibbia non sfuggiva alla regola comune della violenza. Evidentemente, per via non tanto di un’omosessità-essenza ma della rivalità mimetica, farsi fottere era il cattivo o il buon tratto dell’ospitalità. Cosa che ha prodotto quel tuono che ha squarciato Sodoma & Gomorra e dato luogo a una formulazione d’interdetto particolarmente forte su una pratica che non era senza inconvenienti per gli uomini e le donne di Dio, preoccupati non solo di salvare il culo da seducenti devastazioni ma anche di proteggere la città da assalti di tutti verso, sopra contro tutti ( sembra la versione arcaica delle moderne o transmoderne dark room…).
Più in generale, mi pare che il Reale sessuale non possa non porsi se non nel pensiero, la preoccupazione e il cruccio dell’Altro: non ucciderlo e non fotterlo formano le condizioni minime indispensabili per cominciare a parlare e a parlarsi , dando luogo allo spazio della città. Altra condizione necessaria, mi pare quella di essere in un corpo incarnato, cioè mostrare all’altro la presenza invisibile di un sesso maschile o femminile, differenza indispensabile all’organizzazione della vita e della città. Una terza condizione mi pare necessaria : un’etica della parola, vale a dire un’articolazione del desiderio alla Legge della parola fondatrice. Queste tre condizioni per un rapporto etico con l’Altro, annodano Reale/immaginario/simbolico e danno consistenza al cosiddetto “essere” o creatura “instabile” ( sant’Agostino) che abita il luogo della parola.
Si può dire che oggi queste tre condizioni basilari siano venute meno? Quello che pare certo è che l’orrore della rivalità e della violenza sono sempre all’opera sotto la fine e gracile pellicola della cultura, della civiltà e del malessere che è nella civiltà. D’altra parte, è anche vero che: Ce sont toujours les plus malades qu’obsède la maladie des Autres.” (René Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, pp. 91-92).