Se non si ama Simone Weil non si può amare Cristina Campo, che ne è una sorta di avatar. La sua scrittura è preziosissima, e perciò può piacere a gente come Guido Ceronetti. Ma mentre Ceronetti, anche se vorrebbe essere un veggente, rimane un tipico letterato italiano, con la sua matta voglia di conquistare la gloria mediante lo stile, lo stile per la Campo è ascesi (stentava a pubblicare, molte sue pagine si son perdute). Ne Gli imperdonabili (Adelphi, 1987 – qui si cita dalla quarta edizione, del 1999) leggo:
Rintracciare di un’immagine mitica la prima veste terrena, ricondurne le vaste e vaghe linee nella fermezza incorruttibile del reale è un cammino di verità che realmente raggiunge il pathos quando tocchi riaddipanare, come fili di nebbia, sogni che intere stirpi hanno sdipanato. L’entrata alle Officine del Mago Mandrone, su non so quale vetta dell’Adamello, o alle Miniere di Re Laurino sul Rosengarten – luoghi dietro ai quali interi clan di pastori si persero, cantandone in ottave, favoleggiandone al fuoco – sono state, anch’esse, fotografate. La prima è un pertugio a losanga e vi conducono, quasi mistiche mura, blocchi di ghiaccio puro, ottenebrati dal nero cielo della montagna. L’altra è una fenditura orizzontale quasi a livello del suolo, mezzo nascosta da uno sperone e accecata di detriti (che la leggenda vuole accumulati da Re Laurino al tempo del suo sdegno contro gli uomini). Immaginare l’ascesa dell’antico alpigiano fin sotto quelle vette, l’attimo di arresto, sospeso alla muraglia vacillante dietro l’ultima rupe, la rapida, ebbra visione di quei recessi, nodo di tanti sogni dolorosi, tra le folate di vapori e il nero manto del temporale…
Nei libri che oggi raccolgono ciò che resta di quelle saghe, i passi che magnetizzano un bambino sono spesso, cosa strana, proprio le conclusioni luttuose: “Ora solo due cumuli di pietra segnano il punto dove, sull’altipiano, sorgeva l’atrio della reggia di Vaglianella…”. Ovvero: “Ora la capanna delle miosotidi non esiste più. I pastori che passano per la Val Travegnòl, indicando il prato tutto azzurro, dicono tra di loro: Guardate, un tempo qui c’era la tambra de selièttes (la capanna delle miosotidi)… “. (p.47)
Lo sguardo sul non-più-presente che fu presenza di una bellezza irrevocabile. Avrei potuto citare questo passo in Divenire nulla…
Ciao Fabio, sono arrivato al sito cercando “Scimmie Cacciatrici”, uno dei libri che più ha fatto luce sulla mia parte animale. Casualmente ho trovato queste tue parole su Ceronetti: “Anche se vorrebbe essere un veggente, rimane un tipico letterato italiano”. Molto precise, bravo!