Il romanzo Le anime forti (Les âmes fortes, 1949, trad. it. di R. Fedriga, Neri Pozza editore 2011) è il più spietato che Jean Giono abbia scritto. Ed è anche quello in cui lo scrittore scende più in profondità nell’analisi dei meccanismi rivalitari che funestano la vita degli umani. Sebbene la narrazione sia a più voci, il senso della vicenda è trasparente: si intreccia la storia della vita di due coppie, l’una benestante e anziana, l’altra povera e giovane. La prima appare governata da un’idea di magnanima generosità, l’altra da una brama di arricchimento e di possesso. In entrambe l’elemento forte è quello femminile, la signora Numance e la popolana Thérèse, mentre i due uomini—il ricco e benevolo signor Numance e il povero e a tratti bestiale Firmin—subiscono in diverso modo la supremazia delle rispettive mogli, le anime forti. La relazione tra le due donne, che a tratti pare assumere una natura materna-filiale, si snoda attraverso una serie di fasi delineate da Giono con sapienti chiaroscuri: alla fine si manifesta come pura lotta per il dominio, perché, come sapevano bene già gli antichi, anche l’atto di donare senza limiti, e al limite l’atto di donare tutto quello che si possiede, può celare un intento di auto-affermazione, e di umiliazione di chi il dono riceve e non è in grado di contraccambiare. Non v’è dubbio che la giovane Thérèse sia portatrice di una nietzchiana volontà di potenza, a cui tutto, compresi i sentimenti e il sesso, viene asservito. Giono conosce perfettamente, e lo evidenzia in molte delle sue narrazioni, quale sia la potenza del mimetismo, e come la dialettica dell’imitazione porti spesso ad esiti funesti. In numerose pagine de Le anime forti vediamo chiaramente all’opera la lex mimetica: la scaltra Thérèse subisce la potente attrazione della signora Numance, e finisce per imitarla nelle movenze e negli atteggiamenti. Ma vale anche il contrario: ad un certo punto la signora Numance rinuncia al suo costoso profumo per adottare l’economica fragranza di violetta di Thérèse. D’altra parte il fatto stesso che inizialmente la signora Numance appaia agli occhi di Thérèse come totalmente indipendente dagli altri, indifferente alla pubblica opinione su di lei, e quasi chiusa in un guscio di autosufficienza narcisistica, e proprio per questo scateni l’appetito mimetico della giovane, questo fatto rientra perfettamente nella teoria mimetica di René Girard, che non mi risulta aver frequentato Giono, nella cui opera avrebbe trovato abbondante materiale di grande interesse antropologico.
