La vera storia del pirata Long John Silver

La vera storia del pirata Long John Silver è quella narrata da Björn Larsson in questo romanzo del 1995, che leggo ora nella traduzione di K. De Marco (18ª edizione, Iperborea 2012). Ricreazione del pirata di Stevenson, con evocazione di una coorte di personaggi dell’ Isola del tesoro come il capitano Flint e Jim Hawkins. Un racconto davvero robusto e gustoso, in cui la voce narrante è quella dello stesso Silver. E in Silver, con la sua individualistica ed inesausta brama di libertà e di vita piena, sicuramente l’autore proietta se stesso. Tuttavia, Silver è un personaggio ambiguo, molto ambiguo, ed è un personaggio tardo novecentesco o già post-millenniale. Il lettore di Larsson attraversa una marea di fatti cruenti e di azioni spietate in uno stato di grazia e di leggerezza, ma cogliendo sempre nello scrittore la piena consapevolezza dei meccanismi che reggono e regolano i rapporti tra gli umani. Compreso quello fondamentale, il meccanismo del capro espiatorio, di cui Silver, a sua volta ben consapevole di essere un nemico dell’umanità come tutti i pirati, svela il funzionamento a p. 334. Nel momento in cui sulla nave si determina una pericolosa tensione, con la ciurma in stato di depressione per una terribile bonaccia–una situazione che egli sa essere il preludio alla ricerca di una vittima sacrificale che potrebbe essere lui stesso, che è il quartiermastro–è Silver in persona a dirigere astutamente la scelta della massa su un altro membro dell’equipaggio.

«Bowman lanciò un grido raccapricciante, quando lo trascinarono in coperta e lo legarono. Gli diedero una morte lenta e dolorosa, che lo costrinse a pentirsi di essere in vita finché rimase vivo. Per quel che mi riguardava, anche una morte rapida e improvvisa sarebbe andata bene. Ma se l’avessero ucciso sul colpo, gli altri non si sarebbero mai tolti il suo veleno dal sangue. Così, invece, non si vedevano che espressioni felici e soddisfatte, una volta che gli squali ebbero fatto piazza pulita del nostro spirito maligno e di quello che, non più di un’ora prima, era ancora un essere umano vivo, anche se non uno dei migliori esemplari della specie. Ebbi da vari parole di ringraziamento. E forse erano anche meritate.
L’unico che non si lasciò abbagliare dalla mia abilità fu England. Mi guardò male per parecchie settimane, mentre gli altri avevano presto dimenticato che fosse mai esistito un essere umano chiamato Bowman. Non mi diedi la pena di spiegare a England che era indispensabile sacrificare un capro espiatorio, se volevamo rimanere un po’ più a lungo su questa terra. Quelli come lui, che, a sentir loro, sanno distinguere tra la vita e la morte, non capiscono che a volte bisogna scegliere l’una o l’altra.»

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