Taccuino di prigionia 30

16 Maggio 1944. Stasera mi sento un po’ meglio. Son dieci giorni che sto a letto. Il pagliericcio è così duro e disuguale che è impossibile immaginarlo. Quella carta filata si pesta in maniera bestiale, tanto che sembra d’aver sotto fette di roccia.
Un soldato ha voluto 10 marchi per lavare quel po’ di biancheria. Mi rimangono 8 marchi dei 24 che ho riscosso stamane. 6 per 2 sigarette; 2 per rifondere la coperta di Confalonieri, ceduta ai tedeschi.

Per l’ennesima volta cadono le speranze di un presto rientro in Patria.
Vengono qui da tutte le parti d’Europa personaggi e lettere che ci dicono cose belle, promesse, ordini di partenza. Però non ci muoviamo mai.
E ogni sera saliamo con fatica al 3° piano del “castellaccio” lurido, lasciando nella polvere le speranze crollate che si confondono con le ciabatte vecchie, i pagliericci fradici e la biancheria sporca.
Il nostro animo arido non vede che tenui bagliori di verdi speranze che si spengono presto lasciando più buio, lasciando più freddo. Così da mesi lunghi che sembrano anni, tiriamo avanti scettici acidi, increduli e con dolore.
Da casa mi scrivono che stanno bene. Cira mi parla della visita di Mario. Anche Mario mi ha scritto.
In una crisi di sconforto ho pianto. E paragonando la fortuna degli altri con la mia sventura mi parte di essere segnato dalla matrigna sorte. Che ho fatto di male per dover sopportare tutte queste croci? E questi dolori che mi inchiodano a letto?
Anche a mamma ho pensato sovente. Solo lei, pensavo, mi avrebbe potuto consolare e avrebbe capito le mie pene. Ma lei è lassù. Povera mamma, come mi sento bambino quando ti penso!

20 Maggio. Sono partiti Vignola e Bracchi. A quest’ora staranno comodamente in treno. Beati loro. Prima di lasciare la baracca sono venuti a salutarmi quassù al 3° piano del castello. Erano le sei ore e noi dormivamo. Ci siamo baciati con l’augurio di rivederci in Italia. Vignola mi ha promesso di imbucare la mia lettera indirizzata ai miei cari.
Che stranezza! Da qualche tempo ho l’impressione che a casa mia sia avvenuto come un rilassamento di affetto fra Papà, Tomaso e sorelle. Spero che non sia affatto vero e che tale impressione sia causata in me dalle concise schematiche lettere che ricevo da loro e che non potrebbero essere altrimenti data la scarsità di spazio che in esse cartoline vi è.

Più tardi . Il cap. Anzimanni mi ha portato una cartolina di Zia Maria. Ho compreso lo strazio che ha colpito quella famiglia, la zia e i piccoli Beppino e Anna. Anche loro hanno conosciuto troppo presto il dolore. Povere creature provate duramente dalla sorte!
Ho risposto con una lettera cercando di infonder loro un po’ di conforto.
Perché Papà e Zia Ida non mi hanno scritto niente? Immagino il dolore di Papà e Zia Nina. Povero Papà, è rimasto il solo dei 5 fratelli.
A noi manca la mamma, a Ciro Maria e Clelia manca il babbo, A Beppino e Anna manca il babbo. Quante disgrazie in pochi anni ha subito la nostra famiglia! E quando ci sarà finalmente un po’ di pace? Quando? Forse che ci è serbato nuovo pianto ad ogni anno?
Zio Silvio, ora che hai raggiunto le anime dei nostri cari prega anche tu per noi tutti. Le nostre lacrime ti dicono ogni giorno il nostro dolore.
E tu gran Dio accogli le nostre parole: L’eterno riposo dona a loro, o Signore, e la luce perpetua. Riposino in pace. Così sia.

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