Il venti di luglio

Sono tre racconti di Alexander Lernet-Holenia tradotti per Adelphi da E. Dell’Anna Ciancia (2008). Il terzo racconto, Il dio cieco, molto breve, è un capolavoro assoluto. Narra la triste storia di un cane guida per ciechi, che la perversione di colui cui ha totalmente dedicato la sua vita di animale priva di ogni fiducia nel genere umano, fino a condurlo ad un’amarissima fine. Siamo nel decennio successivo alla Seconda Guerra Mondiale, e lo sfondo conferisce al racconto una potente forza simbolica.

Anche il primo racconto, Maresi, ha come protagonista un animale, una cavalla purosangue le cui sorti sono legate a quelle del potagonista, un uomo rovinato dalla propria incapacità di gestire i possedimenti. Anche qui l’animale si carica di valenze simboliche, pur restando un semplice (e sventurato) animale, e il realismo della narrazione non impedisce di vedere in esso un déraciné parallelo al suo padrone.

Nel secondo racconto, che dà il titolo al libretto Adelphi, si vede quello che secondo me fornisce il test con cui misurare l’arte di un narratore: la capacità di disegnare con un semplice tratto la natura di un personaggio. L’arte cioè della concentrazione, per cui l’anima del personaggio è resa in un punto. Vedete qui la scrittura sovrana che illustra il carattere dell’intrallazzatore e agente segreto Bukowski.

Nel Terzo Reich, non meno che in qualsiasi altro, la gente si faceva pagare in tutti i modi possibili: con il potere, un’onorificenza, la soddisfazione dei propri risentimenti, una promozione, con gioielli e dipinti, più di rado col denaro, che perdeva sempre più il suo valore, rarissimamente – irretiti come si era nelle ideologie – coi favori di una donna. Bukowsky apparteneva al novero di quei pochissimi che si facevano pagare coi favori di una donna. (69)

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