Questa argomentazione può essere valida contro i sostenitori del Disegno Intelligente, che guardano alla “complessità irriducibile” nel mondo naturale per argomentare di un progettista divino (un progettista la cui esistenza deve poi, secondo tale logica, richiedere una spiegazione), ma non tiene nei confronti di coloro la cui fede in Dio è informata dalla scienza evolutiva e da altri saperi, la cui comprensione di Dio non è fissa, statica e dipendente da una comprensione letterale della Bibbia, e il cui Dio non è un “Dio tappabuchi” ma un Dio nel e del mondo. Per molti, Dio naturalmente è “spiegazione”, ma non uno che sta sopra e contro la selezione naturale; Dio come spiegazione include, sussume e si basa su ciò che è rivelato dalla scienza, ma non è delimitato da essa. Il valore e il significato di Dio, quindi, non sono fondati sull’efficacia di Dio come spiegazione empirica del mondo materiale. Sostiene Bartlett che “l’essere di Dio non può essere colto così, come se Dio fosse un’entità percepibile sullo stesso livello di un sasquatch, di un unicorno, del fantasma della propria nonna, o dell’angelo custode. Ogni verità di fede deve essere una verità ostensiva e la verità dell’essere di Dio è quella di una intenzionalità invisibile, la verifica dell’esistenza della quale è per definizione inaccessibile a ‘logica ed evidenza’ pure e semplici” (Affirmations 6-7). Egli sostiene inoltre che tutti gli antropomorfismi su Dio devono quindi essere “delicatamente e rispettosamente messi da parte per un po’ di tempo” (Affirmations 8). Cioè, sia l’ ateo che il credente idolatra devono rinunciare al loro interesse reciproco per gli idoli e al loro attaccamento all’oggetto centrale come figura; considerando che mentre il credente cerca la figura sacra per la contemplazione divina, l’ateo cerca quella figura per una “demolizione piacevole” (Affirmations 9). L’Antropologia Generativa, poi, cerca di andare oltre la frase dichiarativa, al gesto ostensivo, a quel primo segno, che designa il suo referente mostrandolo (Bartlett, Affirmations 10; Gans, Science 5).
Come Bartlett, anche Michael Ruse riconosce i limiti della ragione e della logica e l’evidenza dei sensi. Egli sostiene che i risultati del XX secolo nel campo della scienza e della matematica dovrebbero produrre umiltà sulla capacità dell’umanità di discernere la realtà ultima. Ovvero, il darwinista sa che i nostri limiti provengono dall’esserci evoluti in determinati modi. Questi sono modi appropriati al nostro livello di “medi primati che sono venuti giù dagli alberi e si sono messi a mangiare resti e frattaglie di prede altrui” (140). Come osserva Ruse, noi possiamo protenderci dal familiare al non familiare, come dimostrato nella scienza moderna, ma siamo noi stessi che ci estendiamo, e non c’è alcuna garanzia che tale nostro allungamento abbia una capacità di estensione infinita. Un uomo può correre un miglio in quattro minuti, per esempio, ma non riuscirà mai a correre un miglio in due minuti. Un darwinista, allora, dovrebbe dubitare che i suoi poteri e attributi basati sulla selezione, tra cui gli attributi e i poteri mentali, possano fornire una visione totalmente esaustiva della realtà fisica (141).