Portando Clausewitz all’estremo (5)

Fabio Brotto

Sono sempre fortemente colpito dal fatto che in Occidente ogni nuovo pensiero tenda a porre se stesso come il più radicale, rinfacciando a predecessori e rivali di non esserlo abbastanza. Lo si vede anche in Girard, ogni volta che egli si misura con i suoi punti di riferimento, come Freud o Levi-Strauss, o, qui, Hegel. C’è un punto oltre il quale la tensione all’estremo non può andare, che è l’estremo stesso, ovvero l’esplosione apocalittica. Hegel ha pensato la guerra, ma in forma meno radicale di Clausewitz, secondo Girard, che intende portare appunto quest’ultimo, non sufficientemente consapevole della realtà sacrificale delle cose, al punto estremo. Il pensiero hegeliano “nasce dal religioso” (64), ma abbandona l’antropologia cristiana. E non ha, sostiene Girard, “una concezione sufficientemente radicale della violenza”. Ma come può averla, mi chiedo, se, come ha scritto anni fa Tobin Siebers, essa è il suo altro? (67)

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