Nel romanzo contemporaneo stanno accadendo cose degne di molta attenzione, che richiedono una interpretazione. Uno dei fenomeni che mi colpiscono maggiormente è il proliferare di testi in cui la narrazione è in prima persona. Questo certamente ha a che fare con la crisi dell’idea di una verità sovra-personale e col soggettivismo individualistico pervasivo che trionfa nella nostra società, ma credo anche, dal punto di vista della tecnica della scrittura, con la presunta maggiore facilità di una narrazione fatta da un io narrante. Personalmente, quando apro un romanzo e mi imbatto in un io che parla, ho subito un moto di dispetto. Tento di saperlo prima, e di evitare l’acquisto (cosa che non sempre mi riesce).
Ma c’è dell’altro. Si sta affermando una modalità di narrazione in cui i tempi storici sono sostituiti dal presente. Questo probabilmente significa qualcosa di importante, su cui non ho ancora riflettuto abbastanza. Forse ha a che fare con l’impatto di media come cinema e televisione, in cui lo spettatore ha l’impressione che gli eventi si svolgano in un presente, di viverli contemporanea – mente. Non c’è dubbio sul fatto che la maggioranza degli scrittori avvertano oggi una sorta di complesso di inferiorità rispetto al mondo mediatico, a causa della sua superiore potenza e capacità di influenza. Ovvero a causa della sua centralità, rispetto alla perifericità della scrittura narrativa.
Ma un romanzo scritto tutto al presente pone problemi giganteschi rispetto al senso stesso del narrare una storia. Perché l’origine del narrare, il suo fondamento essenziale, è qui messo in discussione. Il narratore nasce infatti come narratore di eventi, e un evento non può essere narrato se non si è concluso. Altrimenti è cronaca televisiva, o film. Il narratore è uno che dà forma ad un evento mediante il segno-parola, e ne espone il senso. Ovviamente questo senso non si dà finché l’evento non è tale. Un evento non è tale mentre sta divenendo, ma quando è avvenuto. Un evento è un avvenuto. Narrare una storia dal punto di vista di un io presente a se stesso mentre accadono gli eventi è un atto estremamente problematico. Infatti presuppone un circuito impossibile, tra la coscienza del narratore-narrante e dell’io – personaggio agente, e il suo rispecchiamento nel lettore, e l’assoluta ignoranza del narratore-narrante / io personaggio agente circa lo sbocco degli eventi. Nello stesso tempo, il loro senso viene affidato allo scrittore, e ad un lettore cui viene chiesto di rinunciare alla convenzione fondante dell’operazione narrativa. E se si usa una lente un po’ più potente, non mancheranno di emergere tutti i paradossi e le incongruenze che una narrazione al presente dell’io necessariamente fa scaturire.
Interessante articolo…
Pero’ ci sono casi come L’uomo della pioggia e l’avvocato di strada di John Grisham che dimostrano che dell’Io narrante si fa un buon uso.Cosa nepensa?
Penso, andando in crescendo, che anche in Raymond Chandler e nel Melville di “Moby Dick” c’è la voce di un io che narra. E, a dire il vero, anche nella “Divina Commedia”. Ciò non toglie che ai narratori non robusti oggi come oggi l’uso della prima persona nella narrazione appaia tecnicamente più facile. In ogni caso, ciò avviene secondo lo spirito soggettivistico dell’epoca.