Non deve essere stato facile per Silvia Cosimini, di cui ho già apprezzato la bella traduzione del romanzo di Laxness Gente indipendente, rendere in italiano lo stile di Thor Vilhjálmsson, uno stile poetico lirico-tragico che fa del romanzo Il muschio grigio arde (Grámosinn glóir 1986, ed. it. Iperborea, Milano 2002) qualcosa di assolutamente inconsueto e molto affascinante. Pure, l’operazione mi pare riuscita, come testimonia questa splendida pagina, nella quale il paesaggio pastorale islandese, che il giovane magistrato Ásmundur sta attraversando per raggiungere il luogo della sua inchiesta, si mostra insieme sereno e inquietante, immemoriale e mitopoietico. Le radici dell’infelicità umana sono nella natura stessa.
Sera in una valle disabitata. Il sole si volge verso l’invisibile, oltre l’incorniciatura della valle, le colline a occidente. La gratitudine della terra per il giorno trascorso si leva come una foschia violacea nel lontano ovest, mentre il sole ha ancora un tratto da percorrere prima di potersi nascondere dietro le colline, il suo addio si diffonde sul mondo in delicati colori. L’erba si fa d’oro, e il muschio grigio che ricopre la lava arde.
Ora le pecore sono immobili sulle pendici dei monti, rimpiangendo la spensieratezza del giorno, quando l’erba era verde, e terrena, e tanto salubre che il succo verde colava agli angoli della loro bocca. Ora stanno quiete a osservare e non si muovono; come se stessero contemplando qualcosa di unico, o ammirassero il panorama, come viaggiatori. Poi tornano a brucare sul pendio. E d’un tratto corrono tra le rocce e le chiazze verdi d’erba e i grigi ghiaioni, saltellano a balzi sui letti asciutti dei ruscelli, dove in primavera musiche e canti risuonavano nella valle come un’orchestra. Più in alto, blocchi di pietra e massi erratici si stagliano contro il limpido cielo azzurro.
Una pecora bela malinconica, geme nella sua lingua; e l’eco apre nuovi spazi, moltiplica la valle. Il vento sussurra alle orecchie, risvegliato per la serata; le ombre si fanno più scure, come occhi che si guardano dentro. Si allungano, quasi fossero stirate dal vento, anche se soffia in direzione opposta.
Ci sono due pecore, una nera e una bianca, che guardano da lontano l’uomo solitario che avanza piano, mentre ogni pietra assume indipendenza dalla propria ombra.
E in questa nuova luce purpurea che accende ombra su ombra alla sua sacra fiamma, viva in tutto il paese, le immagini cominciano a guizzare sulla montagna; le rocce che servono da pretesto a visioni e presagi mitici, a eventi che alludono al mondo degli uomini, immagini sfuggite alle circostanze umane che si insinuano, con i loro messaggi riconsacrati da quel battesimo, nella coscienza dell’uomo che passa, esigendo che si faccia loro messaggero.
Sente la pecora belare malinconica in alto sulla montagna, ma non riesce a vederla nonostante scruti i dintorni, valica d’un balzo un crepaccio, e le pecore che prima l’osservavano spariscono spaventate verso le nuvole rosa a oriente.
Poi il sole svanisce a ovest. Là le montagne viola esalano foschia. Mentre i contorni delle colline e dei rilievi circostanti si fanno più nitidi, la terra si avvicina alla propria essenza; ciò che è lontano perde progressivamente ogni sostanza e si libra sempre più come un poema.
L’uomo sa che una volpe ha portato via l’agnello alla pecora, non può farci nulla. (pp. 60-61)
Come tutti i grandi romanzi, Il muschio grigio arde ci presenta un protagonista dialettico e aperto, un personaggio in divenire. Ásmundur deve raggiungere una località dell’Islanda in cui si celebrerà un processo. Il crimine che deve essere giudicato da lui è un incesto tra fratello e sorella, con conseguente infanticidio. Qualcosa di terribile, ed insieme elementare, la rottura del massimo tabù ed un disperato bisogno d’amore. E giudicare è duro e quasi impossibile. Vi è il fantasma del padre giudice, con cui il protagonista deve confrontarsi, e vi è una lacerata figura di pastore evangelico, suo antico compagno di studi, che richiama il fondamentale principio della compassione. E sopra tutto vi è la dura terra d’Islanda, alle soglie della sua svolta epocale destinata ad immetterla nella modernità, e ancora impregnata di saghe e memorie ancestrali.
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