Echi di un’autobiografia

«Il tempo e il luogo non hanno stabilità; il desiderio lascia solo melanconia: le ultime parole di uno dei brevi brani che costituiscono gli Echi di un’autobiografia di Naghib Mahfuz ( trad. A. Lamarra, con un’intensa prefazione di Nadine Gordimer, Tullio Pironti Editore, Napoli 1999) potrebbero rappresentare l’essenza di questo libro. Abbiamo qui il distillato di Mahfuz, giunto alla vecchiaia e ad una sapienza che presenta, nella diversità, molti punti di contatto con quella di un altro grande, prolifico vecchio della letteratura, Julien Green. Ad entrambi la vita è stata generosa di anni, di anni pieni, ed essi li hanno saputi usare per giungere alla saggezza: intensamente, drammaticamente cristiana in Green, come mostra il suo Journal, sufica o quasi-sufica in Mahfuz. Ciò che li unisce è la saggezza come accettazione delle contraddizioni dell’esistenza umana. Così, in Mahfuz come in Green la sensualità, ad esempio, non è negata ma compresa e vissuta in una sorta di Aufhebung che la supera mantenendola. Negli Echi Mahfuz trapassa dalle brevi narrazioni, prive di qualsiasi riferimento cronologico, ai detti attribuiti ad uno sceicco Abd-Rabbih al Ta’ih (l’orfano), che rinnovano un genere tradizionale. Questi non sono appunti per un’autobiografia, ma echi appunto, risonanze, che in una vecchiaia matura di sapienza raccontano di una vita vissuta fino in fondo: fisicamente, sentimentalmente, intellettualmente. Ne riporto qui alcune righe.

Il segreto della vita
Mi passò accanto nella mia reclusione come una rosa in boccio su uno stelo verdeggiante. Poi, i ricordi di quei giorni luminosi scorsero via in fretta e io fui preso dallo sgomento per il fuggire del tempo. Un giorno in cui mi lamentavo della vita con un mio saggio amico, egli così commentò:
“Puoi forse negare di avere avuto la tua parte del calore e della fragranza del mondo?” Io, allora, enumerai le cose belle che avevo ricevuto dalla vita e che erano una prova del favore dimostratomi da Colui che di tutto dispone, ed egli disse:
“Gli esempi che hai enumerato della tua buona sorte sono la prova che essa ha parteggiato per te”.
Dopo un breve silenzio mi chiese: “Non ricordi di aver provato gioia in quei momenti?”
“Ricordo un sentimento fugace di letizia sotto la palma dei datteri”, risposi.
“Il sapore, lo ricordi?”
“Delizioso, più di tutti i casi di buona sorte messi insieme”.
Alle mie parole egli replicò dolcemente: “Sappi che è questo il segreto della vita e della sua luce”.

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4 pensieri su “Echi di un’autobiografia

  1. La gioia, profondamente sepolta nella materia e nel sistema nervoso, è l’essenza dell’esperienza umana. E la morte, caro Lillo, non è una risposta. Più in generale, a proposito della domanda di senso, direi che Tempo e Spazio non sono una risposta.

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