Vittime e differenze

La cultura occcidentale contemporanea è profondamente segnata dal vittimismo. Tutti concepiscono se stessi come vittime attuali o potenziali, o si atteggiano a vittime. Anche i potenti lo fanno, e Berlusconi ne è stato l’esempio più chiaro. Come se la vittoria, il riconoscimento e l’onore dovessero spettare a chi presenta più marcati i caratteri della vittima. Perché vi siano vittime occorre però che vi siano persecutori, ed ecco che chi rivendica per sé il ruolo della vittima deve additare i suoi persecutori. Avviene continuamente, e avviene così che Grillo si presenti urlando furiosamente come vittima di Bersani, e Bersani di contro urli minaccioso che Grillo è lui il fascista vittimizzatore. Osservo che questo dilagare del vittimismo in Occidente coincide con un progressivo annientamento delle differenze. Nella coscienza collettiva occidentale ogni differenza è ormai vista come attuale o potenziale ingiustizia, e chi introduce differenze o sostiene le ragioni della differenza viene avvertito come persecutore o reazionario (i due termini tendono a essere intercambiabili). Poiché tutte le differenze devono sparire – tra uomo e donna, tra umano e animale, tra vecchio e giovane, e forse tra morto e vivo. Così chi si oppone al matrimonio omosessuale è un persecutore, chi va a caccia o a pesca è un persecutore, chi mangia carne è un persecutore, chi taglia un albero è un persecutore. La dialettica del vittimismo nel suo nesso con la negazione delle differenze produce mostri, e infine, venendo meno quella tra vittima e persecutore, sprofonda l’umano nel caos.

11 pensieri su “Vittime e differenze

  1. caduta delle differenze… ma ritorno dei ruoli? Mi sembra cioè che gli esempi da Lei trattati facciano ri-emergere la dialettica servo-padrone di Hegel che Girard aveva criticato in “Portando Clausewitz all’estremo”… pare evidente che la dialettica hegeliana non trasforma il processo di indifferenziazione; si limita a raccoglierlo e ad incanalarlo grazie alla formazione di ruoli che danno ai contendenti un contenuto che però non ha peso sostanziale né reale; è un meccanismo che rinvia all’infinito il momento della scoperta reale dell’indifferenziazione…
    Se questo meccanismo lega la nostra epoca ed è più forte di quanto Girard avesse previsto, vuol dire che forse la dialettica hegeliana ha saputo cogliere di più certi aspetti della rivalità mimetica…

    1. Decisivo è per me il fatto che, a dispetto della globalizzazione, la cultura occidentale è solo una frazione del mondo. E la stragrande maggioranza degli umani ignora il vittimismo, mentre anche in Occidente esistono componenti immuni ad esso (penso ai Repubblicani americani, ad esempio).

      1. non pensa però che il concetto di vittima sia un po’ più diffuso rispetto ai nostri confini culturali? è vero che ci sono elementi immuni alla vittiizzazione in Occidente, però se penso al caso della Cina, non si può non notare che il processo di rivalità secondo l’ottica servo-padrone abbia avuto lì un discreto successo.Magari la dialettica servo-padrone può offrirsi come elemento intermedio rispetto alla linearità dell’indifferenziazione così come è stato pensato da Girard…

        1. Il concetto di vittima e il vittimismo non coincidono. Il vittimismo di cui parlo è una espressione della coscienza occidentale post Olocausto, e si è sviluppato dopo la seconda guerra mondiale. Prima gli Ebrei (modello), poi i Neri d’America, poi i Giovani, poi i Palestinesi, la Donna, la Natura, gli Animali, ecc., fino all’intero Pianeta: la Vittima ha progressivamente allargato il suo campo.

  2. Penso che fin dalla nascita saltiamo fuori differentemente intelligenti (il che non fa di me un seguace della medicina selettiva del Terzo Reich); è una semplice constatazione. Già questo fatto dimostra che agli uomini non sono dati uguali diritti e opportunità a priori: c’est la vie. Pensare che la regola debba essere appianare le differenze naturali sempre e comunque, è una banale e superficiale procedere, sterile slogan e nulla più. Le differenze artificiali e artificiose, quando fanno rima con “evitabili ingiustizie e soprusi verso gli altri” create dagli uomini a danno di altri esseri umani, quelle sì andrebbero osteggiate e piallate.
    Sul metodo politico di denigrazione dell’altro e di offesa distruttiva in mancanza di concretezza costruttiva, non spenderei nemmeno argomentazioni troppo raffinate. Più che vittimismo lo definirei radicato riflesso condizionato di maleducata brama d’imporsi sputacchiando, visto che della saliva non sanno servirsene per proporre un serio agire argomentato e stringente, progressista o conservatore che sia.
    Fare le vittime è soltanto uno dei tanti strumenti beceri per ottenere consenso di pancia da chi ha nel basso ventre il centro del pensiero. E poi ci si stupisce che la politica non sia in grado di elevarsi sopra l’ombelico.
    Un saluto (leggo da un po’ di tempo e con piacere le sue considerazioni)

  3. Fabio, i Repubblicani americani sarebbero immuni da vittimismo?
    Dopo aver trascinato l’Occidente intero in una guerra permanente contro fantasmi per “essere stati attaccati”?
    Le differenze non esistono più?
    Non c’è differenza tra chi gioca al teatrino di destrae sinistra e intanto appoggia il medesimo governo tecnico-bancario e chi (Grillo) chiede con urgenza l’uscita da un modello industrialee finanziario chge è ormai solo in perdita (da trent’anni, non da tre)?

    1. I Repubblicani non sono vittimisti, come non lo erano i pistoleri del West, cui in un certo senso si ispirano. Sono nella logica della rappresaglia, della vendetta, che nell’europeo provoca orrore. Non si deve confondere l’offeso con la vittima. Tant’è che i Repubblicani respingono la stessa idea di riscaldamento globale, ecc. ecc. In generale, la cultura nordamericana attuale è molto meno vittimista di quella europea.
      Quanto a Grillo, non mi faccio incantare dalle “idee” di uno che in realtà non intende affatto uscire dal modello industriale-finanziario in cui investe i quattrini che gli vengono in tasca, anche dal suo blog politico-commerciale.
      Il rullo compressore culturale dell’annientamento delle differenze è all’opera anche fra gli intellettuali, a cui rimane poco oltre al comune risentimento derivante dal loro essere espulsi dal centro, e confinati in una periferia insignificante.

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