In questo libro sulla visione tragica di Euripide e Sofocle (Transeuropa 2013), Giuseppe Fornari continua nel processo di rimodulazione del suo rapporto con René Girard (che avrebbe «fatto dell’intera cultura umana il suo capro espiatorio», pp. 371-372), dal quale si va allontanando da anni, pur rimanendo legato ad alcuni elementi fondanti della teoria mimetica. Un’analisi accurata del testo potrebbe mettere in luce con facilità tutti i passaggi e le articolazioni del discorso di Fornari che si prestano ad una interpretazione mimetico-rivalitaria, nei termini dell’allievo che vuole rendersi indipendente dal maestro minimizzando il debito nei suoi confronti nello stesso momento in cui lo riconosce (vedi l’accusa mossa a Girard di narcisismo apocalittico, p. 376 ). Qualche anno fa ho svolto una critica delle idee di Fornari con una lettura del suo Filosofia di passione e la ritengo ancora valida in riferimento alla sostanza di questo libro sulla tragedia greca. Non ripeterò qui questa critica. Trovo impressionante la crescita in Fornari di una sorta di risentita hybris, quella di colui che ritiene di essere portatore di una luce, di una conoscenza vera in grado di aprire nuovi mondi, e la vede non accolta dalle tenebre delle istituzioni culturali dominanti. Evangelista misconosciuto di un nuovo metodo di lettura dei miti e dei riti, Fornari si colloca in una posizione instabile e pericolosa tra antropologia e filosofia, e avanza teorie, come quella della mediazione estatica, risalente ad eventi sacrificali originari e originanti, del tutto inaccessibili e speculativi, che nessuna scienza contemporanea potrà mai accogliere. Fornari pensa che la tragedia greca sia portatrice di un altissimo messaggio, che si pone ad un livello di consapevolezza dell’umano che è appena sotto quello che sarà espresso dal Nuovo Testamento. E il mondo moderno è oggetto di dure accuse: «E per non farci sfuggire questo messaggio postremo e postumo dobbiamo deporre l’insopportabile habitus moderno di giudicare dall’alto di una superiore consapevolezza teorica e storica. Sarebbe infatti ironicamente illusorio pensare che noi moderni si sia in una condizione superiore di spettatori, benevolmente disposti a qualche storicismo generico o a qualche estetismo letterario, quando è questa genericità compiaciuta a dimostrare un’inferiorità disastrosa al compito a cui le nostre conoscenze ci chiamerebbero.» (p. 179)
Ovviamente la “superiore consapevolezza teorica e storica” Fornari la deve riconoscere a se stesso, altrimenti il suo discorso non avrebbe alcun senso.
teoria mimetica
The Phantom of the Ego
Il sottotitolo di questo bel libro di Nidesh Lawtoo, Modernism and the Mimetic Unconscious (Michigan State University Press 2013) è eloquente: il contenuto del libro è un allargamento della teoria mimetica di René Girard sul versante dell’inconscio mimetico come si andava configurando, prima dell’ingresso condizionante della speculazione di Sigmund Freud, in autori del Modernismo (da Nietzsche a Lawrence a Conrad a Bataille, passando per Bernheim, Tarde, Harrison, Lacoue-Labarthe e Janet). Lo sviluppo attuale delle neuroscienze, secondo Lawtoo, tende a erodere l’idea di una qualsiasi preesistenza dell’ego alla socialità: l’ego nasce in relazione, è costitutivamente relazionale fin dal suo inizio, e il suo inizio è segnato dalla mimesi: «… l’ego non nasce nell’isolamento ma in una relazione di comunicazione inconscia e mimetica con gli altri. […] … la soggettività, fin dal suo inizio, deve essere ripensata in termini relazionali, imitativi. […] L’ego non dovrebbe essere visto come la causa della mimesi ma come suo effetto: la mimesi non segue l’ego ma lo porta all’essere.» (p. 271) Superata la lunga parentesi freudiana, cui in qualche modo anche l’idea girardiana della struttura triadica del desiderio rimane in parte debitrice, la teoria mimetica deve riscoprire nei teorici e scrittori modernisti della mimesi inconscia i suoi precursori, il cui intuito ha preceduto le attuali scoperte delle neuroscienze e può illuminarne ancora oggi il significato. Poiché secondo Lawtoo i grandi modelli romanzeschi sui quali la teoria di Girard si fonda non bastano più: «La folla moderna non tiene conto dell’esperienza, ancora egocentrica, di una rivalità mimetica tra soggetto e modello, “copia” e “originale”, ma dissolve l’ego in un fiume di simulacri dove la copia non solo precede l’originale, ma fa esplodere la stessa ontologia della mimesi, lasciandosi dietro uno strano mondo di fantasmi» (p. 289)
A Refuge of Lies
Di Cesareo Bandera avevo letto anni fa il bellissimo The Sacred Game, del 1994 (ne parlo qui e qui), in cui viene sviluppata una innovativa lettura dell’Eneide. Ora esce questo A Refuge of Lies (Michigan State University Press 2013), in cui Bandera si concentra sull’altro grande testo epico occidentale, il primo: l’Iliade. Visto ovviamente come un grande poema epico-sacrificale. Il testo è di sole 143 pagine, ma brillantissime e di grande spessore argomentativo. Bandera interroga a fondo i testi omerici (anche l’Odissea), ritorna sull’Eneide, si sofferma in un illuminante confronto con l’interpretazione che dell’Iliade diede Simone Weil, e critica anche il concetto girardiano di misconoscimento della logica del capro espiatorio da parte degli antichi.
«Questo è tutto il segreto dell’Iliade. L’intero poema è un’operazione sacrificale. Come abbiamo già detto, il suo fine non è quello di narrare la storia della Guerra di Troia o di glorificarne gli eroi nel senso moderno in cui noi comunemente intendiamo tale glorificazione. L’eroe omerico non è mai stato inteso come un faro, un modello, un esempio da seguire. Nessun greco sano di mente avrebbe mai voluto essere un secondo Achille. La sola idea probabilmente lo avrebbe terrorizzato. Il poema, nondimeno, è una glorificazione sacrificale di un singolo eroe in particolare tra tutti gli altri. Si tratta di una sorta di culto rituale che, parlando storicamente, deve essere visto sullo sfondo sociale dei culti locali degli eroi. Ma noi dobbiamo comprendere che cosa implica questa glorificazione poetica cultuale. Per cominciare, essa conferisce all’eroe una condizione sacra: lo pone vicino agli dèi, la qual cosa lo rende automaticamente venerando e terrificante, e come conseguenza innesca la domanda di sacrificio, che è l’unica via appropriata e sicura per avvicinarsi al sacro. Ora, ciò che il poeta–vale a dire il sacrificatore poetico–vede attraverso le lenti sacrificali, come già sappiamo, è qualcosa di irriducibilmente ambivalente: da un lato qualcosa che è degno di gloria, kleos, immortalità poetica, e dall’altro qualcosa di estremamente pericoloso, che deve essere espulso, mantenuto a distanza. Il “migliore degli Achei” è anche il più pericoloso, il più terrificante, e il più contaminante. L’Achille omerico non è là per difendere qualcosa come “la causa” degli Achei. Egli è là, egli viene venerato, glorificato poeticamente, in modo che possa salvare gli Achei da quella terrificante violenza che egli stesso incarna, porta con sé, rappresenta. Soltanto lui può salvare gli Achei, perché egli è anche il solo che li terrorizza. La Guerra di Troia fornisce soltanto lo scenario in cui viene illustrata poeticamente, per così dire, questa salvezza sacrificale universalmente ritualizzata e immemoriale.»
(pp. 68-69).
Male e redenzione
Un libro uscito nel 2008, che leggo solo ora grazie alla cortesia di uno dei due curatori, Paolo Diego Bubbio, che ringrazio, è questo Male e redenzione. Sofferenza e trascendenza in René Girard (Edizioni Camilliane). Si tratta di una raccolta di saggi, di differente argomento ed estensione, tutti legati dal comune riferimento ai temi fondamentali del pensatore francese, riferimento più diretto in alcuni, meno in altri (come in quello di Federica Casini sul male metafisico in Victor Hugo). Come si sa, Girard è alquanto renitente ad usare nella sua opera il termine male, e si limita solitamente alla questione della violenza e di tutto quel che la motiva, la scatena e la giustifica. L’unica volta che ho avuto modo di porgli una questione, anni fa a Treviso, fu appunto quella del suo non uso della parola male. E Girard mi rispose che il termine nella cultura attuale soffre di un pregiudizio metafisico-religioso, per cui lui ha preferito parlare di violenza. Ma, come si vede anche in questo libro, molto ricco di stimoli e approfondimenti, la violenza umana non è esaustiva di ogni esperienza del male. E qui di male si parla, a cominciare da Bubbio, che nel suo saggio Secolarizzare il male. La teoria mimetica e L’Adolescente di Dostoevskij scrive di una sua “secolarizzazione”, che «… significa innanzitutto riconoscere che esso dipende sempre dalla libertà umana e che dunque non è, in questo senso, necessario» (p. 37). E proprio a questo tema della libertà-responsabilità umana rimanda la trattazione della demonologia come sapere paradossale di Silvio Morigi. A me sembra che qui vengano a piena emergenza alcuni nodi capitali del pensiero girardiano e della teoria mimetica. Infatti se l’umano è originariamente espulsione-sacrificio di vittime, e l’espulsione è per sé diabolica, come possono i demoni essere espulsi senza replicare il processo cattivo all’infinito? «Se “la fenomenologia più rigorosa conduce alla demonologia”, il mimetismo violento e vittimario (quale ‘fenomeno’ più essenziale dell’umano) viene espresso dalla demonologia evangelica, nel modo più icasticamente adeguato, come Satana. In tal modo, l’essenza ultima di Satana viene rivelata come espulsione demonizzante, esorcizzante. Ma è la demonologia stessa ad essere un linguaggio intrinsecamente demonizzante ed esorcizzante (esorcizzante ancor prima dell’esorcismo concreto cui essa può dar luogo): nel suo stesso designare imputativamente come ‘demonio’ ciò che essa descrive; un designare che è per antonomasia espulsivo (ed appunto, l’espulsione è la ratio intima sottesa ad ogni demonizzare ed esorcizzare). Ne consegue che questo sapere demonologico viene a configurarsi come un esorcismo intellettuale di ciò che viene rivelato ed esorcizzato come l’esorcista archetipico. In termini ancora più semplici: la rivelazione dell’essenza del demonio quale esorcista archetipico sembra non possa essere essa stessa che esorcizzante, quindi essa stessa contaminata da quel demoniaco che essa rivela ed esorcizza. Si ripropone la domanda di de Rougemont: “come sfuggire al demonio fissandolo negli occhi?”» (p. 222). Ma come evitare che l’espulsione evangelica dei demòni, uno dei segni del Regno veniente, sia attratta nell’orbita del diabolico? Forse il concetto girardiano di espulsione va calibrato, aggiustato, ripensato.
René Girard’s Mimetic Theory
Uscito in Germania nel 2011, René Girards mimetische Theorie viene pubblicato ora in inglese dalla Michigan State University Press. Wolfgang Palaver offre una panoramica globale del pensiero girardiano, che si raccomanda come approccio per tutti coloro che vogliano attuare un primo accostamento ai temi centrali del pensatore francese. Anche chi è già addentro alle questioni girardiane, tuttavia, potrà trovare qui molti spunti di riflessione e di approfondimento. L’opera è rigorosamente accademica, come dimostrano le 90 pagine di note e bibliografia, e tuttavia di buona leggibilità. Mi pare che tra i temi affrontati spicchi per rilevanza quello del sacrificio, con una modificazione nel tempo dell’atteggiamento di Girard nella sua valorizzazione all’interno della prospettiva cristiana. Riporto un passo su Satana. Continua a leggere
Psychopolitics
«La realtà politica è fluttuante, soggettiva, fatta di casi particolari, duttile e adattabile, non-euclidea. La politica non è logica. Essa è psicologica.» (p. 5) Da questa visione si sviluppa il dialogo tra Jean-Michel Oughourlian e Trevor Cribben Merril in Psychopolitics (originale francese 2010 – versione inglese Michigan State University Press 2012). L’altro punto fondamentale che Oughourlian assume a base del suo ragionamento è l’idea schmittiana della politica come designazione del nemico. Il terzo elemento è ovviamente la teoria mimetica di René Girard.
Secondo lo psichiatra girardiano francese, la politica attuale deve fronteggiare una crisi mimetico-sacrificale di proporzioni globali avendo a sua disposizione solo strumenti vecchissimi: trovare capri espiatori e nemici individuati chiaramente e credibili sta diventando sempre più arduo, e la politica tenta affannosamente invano di trasformare gli enormi problemi che attanagliano il mondo in nemici.
«La politica sta esaurendo le sue forze. I nemici che essa designa uno dopo l’altro risultano essere dei miraggi e il loro “sacrificio” si dimostra inefficace. Allora la politica è tentata, sotto la spinta dell’Estrema Sinistra, e nel nome della correttezza politica, di scegliere un nemico potente, formidabile e onnipresente: il Denaro!
Il denaro, afferma il meccanismo politico, deve essere tenuto sotto controllo. Il denaro viene accusato di nascondersi nei paradisi fiscali. Allora si dichiara guerra ai paradisi fiscali e si stila una lista nera dei Paesi colpevoli di essere paradisi fiscali. E appare evidente com Cina e Inghilterra siano molto desiderose di smantellare i paradisi fiscali degli altri, ma non i propri.
E tuttavia il denaro deve essere attaccato, tracciato, controllato, sottoposto ad una equa redistribuzione, moralizzato! Un’impresa vasta, che è destinata a fallire per due ragioni, una aneddotica e legata alla storia, l’altra fondamentale.
Cominciamo dalla prima: prima della creazione dell’Europa e della globalizzazione, la moneta era controllata dagli Stati. Il controllo della moneta rendeva possibile prevenire la sua fuga… e questo certamente non ha funzionato bene come ci si aspettava. Oggi, informatizzazione e globalizzazione rendono tecnicamente impossibile esercitare un qualsiasi controllo sulla moneta. E così l’unico modo di attrarre il denaro è quello di sedurlo. Mi si permetta di offrire un faceto paragone tra denaro e donne: per secoli, per millenni, se una giovane donna attirava lo sguardo di un uomo, la possibilità è stata quella di proporre il matrimonio… a suo padre. Questo poteva suscitare situazioni comiche del tipo di quelle descritte nelle commedie di Molière, o qualche volta situazioni tragiche. Oggi ciò è impensabile: se vi piace una donna, dovete conquistare il suo amore. Non è più possibile ottenere denaro o donne se non per mezzo di seduzione, almeno nella nostra civiltà occidentale.
La seconda ragione è infinitamente più seria: designando il denaro come il nemico, come la parte colpevole, come la causa di tutte le nostre disgrazie e della crisi sacrificale che siamo incapaci di arginare, traformiamo la moneta in qualcosa di diverso dalla moneta o da un mezzo di pagamento. Noi stiamo portando alla luce il lato diabolico, mimetico del denaro e nel far questo noi corriamo un rischio più grande di quanto possiamo immaginare.» (pp. 41-42)
Ma cosa propone Oughourlian alla politica, che non può rinunciare alla propria essenza, ovvero alla funzione di designare i nemici? Propone che essa sostituisca al nemico esterno il nemico interno, anzi interiore: noi stessi. Questo avrebbero fatto i leader politici che lo psichiatra francese assume a modelli: Mandela, Gandhi, Luther King. Qui il ragionamento mi pare debole. E certo il processo di conversione globale della politica, ammesso che fosse possibile, non disporrebbe del tempo sufficiente ad evitare quell’apocalisse che, sulla scorta dell’ultimo Girard, Oughourlian vede imminente.
Mimesis and Science
Mimesis and Science, curato da Scott R. Garrels (Michigan State University Press 2011) reca come sottotitolo Empirical Research on Imitation and the Mimetic Theory of Culture and Religion. Questo testo, di estremo interesse per me, propone dunque un confronto tra la Teoria Mimetica di René Girard e le ultime acquisizioni della scienza sui processi imitativi negli umani e negli animali. Ne emergono un dialogo stimolante e un sostegno importante alla visione girardiana da parte della psicologia sperimentale e delle neuroscienze. Molto significativi sono, tra gli altri, gli scritti di Andrew Meltzoff, lo scopritore delle capacità imitative dei neonati che distrusse l’immagine del bambino come “naturalmente autistico”, e di Vittorio Gallese, il membro più famoso del team italiano che scoprì i neuroni specchio. Il supermimetismo come carattere distintivo della specie umana affermato da Girard trova conferma come realtà neurobiologica. Ugualmente, da esperimenti su bambini piccolissimi, trova conferma sperimentale il versante negativo-violento dell’imitazione postulato da Girard. Insomma, che noi umani siamo creature della mimesi, che il soggetto individuale autonomo su cui è costruita la psicologia classica non esista, che i nostri desideri siano sempre mediati da modelli, che la rivalità emerga già nella prima infanzia, tutto questo non è più solo teoria derivata dalla letteratura ma si sta radicando nell’evidenza scientifica. Ovviamente, il realista Girard ne è molto contento.