A Refuge of Lies

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Di Cesareo Bandera avevo letto anni fa il bellissimo The Sacred Game, del 1994 (ne parlo qui e qui), in cui viene sviluppata una innovativa lettura dell’Eneide. Ora esce questo  A Refuge of Lies (Michigan State University Press 2013), in cui Bandera si concentra sull’altro grande testo epico occidentale, il primo: l’Iliade. Visto ovviamente come un grande poema epico-sacrificale. Il testo è di sole 143 pagine, ma brillantissime e di grande spessore argomentativo. Bandera interroga a fondo i testi omerici (anche l’Odissea), ritorna sull’Eneide, si sofferma in un illuminante confronto con l’interpretazione che dell’Iliade diede Simone Weil, e critica anche il concetto girardiano di misconoscimento della logica del capro espiatorio da parte degli antichi.

«Questo è tutto il segreto dell’Iliade. L’intero poema è un’operazione sacrificale. Come abbiamo già detto, il suo fine non è quello di narrare la storia della Guerra di Troia o di glorificarne gli eroi nel senso moderno in cui noi comunemente intendiamo tale glorificazione. L’eroe omerico non è mai stato inteso come un faro, un modello, un esempio da seguire. Nessun greco sano di mente avrebbe mai voluto essere un secondo Achille. La sola idea probabilmente lo avrebbe terrorizzato. Il poema, nondimeno, è una glorificazione sacrificale di un singolo eroe in particolare tra tutti gli altri. Si tratta di una sorta di culto rituale che, parlando storicamente, deve essere visto sullo sfondo sociale dei culti locali degli eroi. Ma noi dobbiamo comprendere che cosa implica questa glorificazione poetica cultuale. Per cominciare, essa conferisce all’eroe una condizione sacra: lo pone vicino agli dèi, la qual cosa lo rende automaticamente venerando e terrificante, e come conseguenza innesca la domanda di sacrificio, che è l’unica via appropriata e sicura per avvicinarsi al sacro. Ora, ciò che il poeta–vale a dire il sacrificatore poetico–vede attraverso le lenti sacrificali, come già sappiamo, è qualcosa di irriducibilmente ambivalente: da un lato qualcosa che è degno di gloria, kleos, immortalità poetica, e dall’altro qualcosa di estremamente pericoloso, che deve essere espulso, mantenuto a distanza. Il “migliore degli Achei” è anche il più pericoloso, il più terrificante, e il più contaminante. L’Achille omerico non è là per difendere qualcosa come “la causa” degli Achei. Egli è là, egli viene venerato, glorificato poeticamente, in modo che possa salvare gli Achei da quella terrificante violenza che egli stesso incarna, porta con sé, rappresenta. Soltanto lui può salvare gli Achei, perché egli è anche il solo che li terrorizza. La Guerra di Troia fornisce soltanto lo scenario in cui viene illustrata poeticamente, per così dire, questa salvezza sacrificale universalmente ritualizzata e immemoriale.»
(pp. 68-69).

 

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