Un libro uscito nel 2008, che leggo solo ora grazie alla cortesia di uno dei due curatori, Paolo Diego Bubbio, che ringrazio, è questo Male e redenzione. Sofferenza e trascendenza in René Girard (Edizioni Camilliane). Si tratta di una raccolta di saggi, di differente argomento ed estensione, tutti legati dal comune riferimento ai temi fondamentali del pensatore francese, riferimento più diretto in alcuni, meno in altri (come in quello di Federica Casini sul male metafisico in Victor Hugo). Come si sa, Girard è alquanto renitente ad usare nella sua opera il termine male, e si limita solitamente alla questione della violenza e di tutto quel che la motiva, la scatena e la giustifica. L’unica volta che ho avuto modo di porgli una questione, anni fa a Treviso, fu appunto quella del suo non uso della parola male. E Girard mi rispose che il termine nella cultura attuale soffre di un pregiudizio metafisico-religioso, per cui lui ha preferito parlare di violenza. Ma, come si vede anche in questo libro, molto ricco di stimoli e approfondimenti, la violenza umana non è esaustiva di ogni esperienza del male. E qui di male si parla, a cominciare da Bubbio, che nel suo saggio Secolarizzare il male. La teoria mimetica e L’Adolescente di Dostoevskij scrive di una sua “secolarizzazione”, che «… significa innanzitutto riconoscere che esso dipende sempre dalla libertà umana e che dunque non è, in questo senso, necessario» (p. 37). E proprio a questo tema della libertà-responsabilità umana rimanda la trattazione della demonologia come sapere paradossale di Silvio Morigi. A me sembra che qui vengano a piena emergenza alcuni nodi capitali del pensiero girardiano e della teoria mimetica. Infatti se l’umano è originariamente espulsione-sacrificio di vittime, e l’espulsione è per sé diabolica, come possono i demoni essere espulsi senza replicare il processo cattivo all’infinito? «Se “la fenomenologia più rigorosa conduce alla demonologia”, il mimetismo violento e vittimario (quale ‘fenomeno’ più essenziale dell’umano) viene espresso dalla demonologia evangelica, nel modo più icasticamente adeguato, come Satana. In tal modo, l’essenza ultima di Satana viene rivelata come espulsione demonizzante, esorcizzante. Ma è la demonologia stessa ad essere un linguaggio intrinsecamente demonizzante ed esorcizzante (esorcizzante ancor prima dell’esorcismo concreto cui essa può dar luogo): nel suo stesso designare imputativamente come ‘demonio’ ciò che essa descrive; un designare che è per antonomasia espulsivo (ed appunto, l’espulsione è la ratio intima sottesa ad ogni demonizzare ed esorcizzare). Ne consegue che questo sapere demonologico viene a configurarsi come un esorcismo intellettuale di ciò che viene rivelato ed esorcizzato come l’esorcista archetipico. In termini ancora più semplici: la rivelazione dell’essenza del demonio quale esorcista archetipico sembra non possa essere essa stessa che esorcizzante, quindi essa stessa contaminata da quel demoniaco che essa rivela ed esorcizza. Si ripropone la domanda di de Rougemont: “come sfuggire al demonio fissandolo negli occhi?”» (p. 222). Ma come evitare che l’espulsione evangelica dei demòni, uno dei segni del Regno veniente, sia attratta nell’orbita del diabolico? Forse il concetto girardiano di espulsione va calibrato, aggiustato, ripensato.

Credo che la risposta a quesiti dal sapore “farisaico” si trovi, come sempre, qui:
Lc 11, 14-23
Quando Gesù dice :” e i vostri figli in nome di chi li cacciano?” intende che i suoi esorcismi non sono diversi da quelli che compiono gli uomini dalla fondazione del mondo.
La buona novella è che ora è Lui a compierli e non resta che scegliere se essere con Lui o contro di Lui.
Per quanto riguarda il Nostro, mi sembra che abbia già affrontato la questione, credo in “Vedo satana…” e non credo che vada aggiustato o ripensato ma solo “portato all’estremo”.
O meglio, “raggiunto”.
Cordiali saluti
Cesare