Il Maestro e Margherita

Nota di Giusi Meister

Il Maestro e Margherita

Un occhio completamente vuoto e un altro folle. Il doppio sguardo di Woland sul mondo è la vertigine che sommerge nel momento che segue la consapevolezza dell’inevitabilità, soprattutto di se stessi. Vero che sembra esserci anche un altrettanto inevitabile destino, ma è nel modo in cui si riavvolge il filo che la matassa dei giorni prende forma. E spesso gli uomini ci mettono molto del loro. Come ne ‘L’ora del diavolo’ di Pessoa, questo diavolo non spezza per disperdere, ma compie piuttosto il processo alchemico ben rappresentato nel proprio arcano dei tarocchi come solve et coagula. Scioglie da se stesso chi lo desidera restituendolo ad una dimensione di libertà e di pace. Una pace senza luce, certo, ma in cui poter respirare a pieni polmoni. Un libro immenso sulla possibilità che ci è data quotidianamente di scegliere cosa volere o non volere per sé, e sulla dimensione, anche collettiva, delle nostre debolezze. Un libro carnalmente umano e luminoso, senza giudici né condanne inappellabili. Un libro aperto, in cui passa tanta aria sempre nuova e sottile. Certo, una storia d’amore, ma di quel genere con cui potresti fabbricarti collane perché ogni gesto o sguardo o parola è una perla, da guardare con tenerezza per giorni.

Montedidio

Nota di Giusi Meister

Erri De Luca, Montedidio, Feltrinelli 2005

Montedidio

Vedere un albero dalla parte delle radici
Per me leggere un libro di De Luca è sempre, esattamente, questo: vedere un albero dalla parte delle radici.
La realtà sotterranea, quella che nutre e dà alimento alla vita lui te la cava fuori dalla terra per mettertela in mano e mostrartela. Non so quanti scrittori siano in grado di far questo attraverso una mescolanza così riuscita di poesia e di prosa. Perché è così: nei suoi libri non sai dove finisce una e inizia l’altra.
‘Montedidio’, che è uno dei suoi libri più belli, ti riempie l’anima ad ogni pagina, e ti spinge a voler sapere di più anche della tradizione yiddish, ché Rafaniello da quella è mutuato.
De Luca narra di realtà perdute, di tempi trascorsi, di quel che è stato, ma ancora e sempre è. Infatti, se fosse solo una narrazione del passato, non ci toccherebbe tanto.
Lui è, come mast’Errico, un ebanista delle parole; un artigiano che lavora con lentezza, uno che non è ossessionato dalla lunghezza, ma dalla clorofilla delle lettere e dalla linfa del significato.
Un esempio, decisamente, per riacquistare, in questo mondo prolisso e sovrabbondante, l’essenzialità e la sobrietà della natura vera e viva delle cose”.

Il ronzio

Nota di Giusi Meister

Jancar Drago, Il ronzio, Forum Edizioni 2007.

Il ronzio

La scrittura di Jancar è quella di un Kafka più muscolare; ma la paralisi dei giorni è la stessa, e la vertigine che investe il mondo, anche.
La Masada evocata da Jancar e il Castello di Kafka sono due grandi allegorie del Potere; della solitudine siderale dell’uomo. Luoghi dove le stelle sono corpi freddi e lontani, e l’uomo è orfano di qualsiasi messaggio di salvezza.
Menahem che si rivolge al suo Dio. Menahem che lotta contro Roma. Menahem e il fuoco che sbrana la Masada.
Keber. Keber e il suo ronzio che non è più voce di Dio ma interferenza disturbante, lucertola che rode. Keber e Leonca. Leonca e i suoi crocifissi, il suo quaderno, e la linea dell’orizzonte, sul mare e verso Odessa.
L’Agrimensore K. . K. e Frieda. Frieda e il suo amore senza conforto e senza risposte.
Un libro sulla difesa oplitica di uno spazio interiore; sul tentativo di costruire un Ordine non lontano dall’uomo ma nell’uomo; di trovare nell’altro la propria casa.
Sogni sbagliati per persone inadeguate. Sogni per notti senza alba.
Da leggere riprendendo (o prendendo in mano per la prima volta) ‘La guerra giudaica’ di Giuseppe Flavio: controverso politico, storico e scrittore. Doppio come ogni cosa umana e, forse, doppio anche come Dio.

A un cerbiatto somiglia il mio amore

Nota di Giusi Meister

David Grossman, A un cerbiatto somiglia il mio amore, Mondadori 2009.

A un cerbiatto somiglia il mio amore

Senza parole…
…È esattamente così che mi sono sentita conclusa la lettura di quest’ultimo libro di Grossman.
Non credo nemmeno che sia possibile racchiudere un universo talmente vasto in un semplice commento. Questo libro è tante cose assieme. E soprattutto, è una summa di tutti i temi cari a Grossman. È, dunque, una riflessione sulla comunicazione in quanto fonte di vita e sulla creazione – o piuttosto sul tentativo di creazione – di una zona franca in cui sopravvivere al mondo, e in cui permettergli di sopravvivere a se stesso.
È un pensiero amaro sul modo in cui il linguaggio forma e deforma gli esseri umani, ma anche li salva riportandoli ad un Eden interiore dimenticato.
Una considerazione malinconica sull’amore. Sul modo in cui gli uomini e le donne si conoscono e dimenticano poi di essersi conosciuti. Sulla dimenticanza volontaria o involontaria; sull’incapacità di amare e sul terrore vasto e profondo che l’amore genera.
E, soprattutto, è un libro sui figli. Sul modo in cui il mondo li cambia, e li sottrae non solo ai genitori, ma soprattutto a se stessi. Com’è, allora, che un figlio bambino che rifiuta di nutrirsi di carne, da adulto accetta poi l’idea di uccidere altri esseri umani? Quale processo alchemico è avvenuto, non sui metalli, ma sulla carne umana ?.
Non ci sono risposte. Ognuno dovrà trovare la propria. Questo libro è il racconto di un viaggio. E così come Sheherazade raccontava per salvarsi la vita, qui Orah racconta il figlio per salvare la vita a quest’ultimo. Parole in viaggio; parole lungo una strada, che è quella della vita. Non sapremo mai se Ofer sarà salvato da quelle della propria madre; come in ogni vita vera, infatti, a nessuno è dato di conoscerne la fine…