ULTIMO VINO

ULTIMO VINO

di Fabio Brotto

Anche se tu non vuoi svuotarti
sarai svuotato, sarai calice infranto.
Anche se non vuoi restringerti, sarai ristretto.
Diventerai tu ombra di un’ombra,
luce pallida su foglie gocciolanti nel crepuscolo,
sogno di un insetto vagante tra le pietre,
muschio che nessuna aurora tinge.
È questo il canto delle Esperidi,
le navi sono partite nell’ora inattesa
e tu sulla punta estrema di scogli inesistenti
cerchi una vela, immagine che ti sigilli il cuore,
tardi, tardi ormai, anche per l’ultimo vino.

 

NOTTE DI GIUGNO

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Non potevamo dire sì, partiamo,
e neanche no, restiamo. Dove?
Siamo piccoli, e adesso siamo morti.
Uomini forti ci tengono in braccio.
Il mare di notte ci ha fatto paura,
tutti intorno dicevano a Dio aiutaci,
ma lui non ha ascoltato,
le mani di mamme e papà si sono aperte,
noi siamo stati un po’ nel freddo mare,
e poi a riva, non quella della vita.

(ai bambini morti nel mare di Libia, 2018)

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GIANO

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Passo il tempo a parlare con Giano.
E Giano è nella foglia,
nella foglia che oscilla ad oriente
per il vento dal curvo occidente,
e cade la foglia matura,
la figlia di Giano, la foglia.

Passo il tempo a parlare con Giano.
E Giano è nella lacrima
che scese sul volto bambino,
la lacrima della mia soglia
di un debole, un forte destino.

Passo il tempo a parlare con Giano.
E Giano è in questa pietra,
una figlia di Giano, la pietra.
Rivoltata in anni lontani,
che ritrovo. Un’altra? La stessa?

Passo il tempo a parlare con Giano.
Passo gli ultimi, poveri giorni,
a parlare con Giano, che tace.
Giano è due. Non parla in due bocche,
guarda cose, a oriente, a occidente.

LA CASA NELLA SELVA

la casa nella selva

Incatenato a me, dentro la selva.
Oscura è la selva del domani
per lui, per me, quando da altre mani
sarà condotto nei luoghi senza fiori.

La casa per mio figlio è vasta e vuota,
il sole non la raggiunge mai,
la strada empia e contorta che svanisce
puoi vederla di notte scintillare.

La casa splende di una luce dura,
mentre io sono nell’eterna caccia
e perdo ogni peso, ogni misura lascio
seguendo il suo sentiero senza traccia,
l’angelo dell’autunno sulla faccia.

(Pensando al futuro di mio figlio Guido, autistico averbale e con grave ritardo mentale).

EFESO

Efeso

Conversazioni amabili,
terre che nessun poeta poté conoscere,
l’impeto di fuga trascinò
dai suoi bianchi furori.
E tu, ragione, la sconsolata,
so che piangesti
di rovine e d’amori.

Oh la passione, l’insostenibile assenza!
Scorrono ora i fiumi
più ambigui che ad Efeso un tempo.
Del flusso silenzioso sorella e dei mortali,
chi ti cercò?
Nessuno conta più le orme.
E i rotoli della Legge imputriditi
balbettano sconce parole.

Disegno di Giuseppe Ghedina (1825 – 1896)

IL PROFETA

il profeta

di Fabio Brotto

Penetravano il cuore dell’estate
ma entrando dissipava il breve lume
la musica del tempo
e li scioglieva.

Ascendevate le scale sublimi
ma dentro il cuore l’abisso non scavava
vie di rifugio dalla pace morta.

Né altra luce intendo
se non della fragilità canto sottile,
voce trista, finale
della risacca, della schiuma incenso.

Dove la stasi non è data, al fiume
dei cantori, là scende
l’acqua dolce, che copre
putrefazioni, vecchie cose morte.

L’agilità del Verbo che sedusse
generazioni si franò le rive.

Come canna sbattuta dal vento
sul fango sta il profeta.
Nel fango scrive.

Disegno di Giuseppe Ghedina (1825 – 1896)

NON GAIA

non gaia

di Fabio Brotto

Solo un commento usciva dalla penna,
un commento ai tuoi versi. Se d’amore.
Quello sapeva un canto…
Soltanto. Ripeteva.
Contemplava licheni, pietre. Gli astri
che davano misteri. La sua scienza
contemplava gli eoni. Mille numeri.
Di cifre innumerevoli. Ragione!
Escludeva ogni dio dalle sue tracce.

Dell’inizio sapeva le teorie.
Di ogni fine rideva: qual potenza
miserabile fingi? Quali spie
di eterno avesti nelle mille facce
violente? È finita la stagione
dello spirito, se frughi nelle ceneri
del grande morto trovi solo i rostri
delle aquile al cadavere adunate.
Infine generò soltanto mostri.
Soltanto. Esitava.
Quello sapeva un canto…
Solo un nulla gli usciva dalla penna,
un nulla sui tuoi versi. Se d’amore.

Disegno di Giuseppe Ghedina (1825 – 1896)