Di Georges Didi-Huberman avevo già letto Aprire Venere, con grandissimo piacere intellettuale, uno di quei libri che aprono abissi. Questo Ninfa moderna. Saggio sul panneggio caduto (Ninfa moderna. Essai sur le drape tombé) è del 2002, la traduzione di A. Pino per Abscondita in cui mi sono imbattuto è del 2013. La prosa saggistica di Didi-Huberman ha un carattere particolare, una sua inconfondibile tonalità : densa e avvolgente, coltissima, a tratti sfiora la poesia, suscitando infiniti echi nel lettore. Per quel che mi riguarda, il tema della Ninfa e del panneggio, così centrale in tutta l’arte pittorica occidentale, mi ha sempre affascinato fin da bambino. Ora penso che la domanda fondamentale che mi ponevo allora contemplando quadri e affreschi – come possono camminare e fare le cose con quelle stoffe che fanno tutti quei giri, che arrivano ai piedi, che li avvolgono come spire? – era una domanda ingenua sì, ma aveva un senso, e poteva aprire un problema centrale: di che realtà parlano i quadri? Ma si tratta di una domanda che, assunta nella sua radicalità originaria, non troverà mai una risposta coerente e condivisa nei saggi critici come questo, e va riposta.
Ninfa moderna è ricco di un apparato iconografico ampio e articolato, in cui il bianco e nero delle foto novecentesche le assimila alle immagini dei quadri di Tiziano e altri grandi pittori, anch’esse qui riportate in bianco e nero, aprendo involontariamente (credo) e non affrontando un’altra questione che a me parrebbe gravissima, quella del significato, nel panneggio, del colore e della sua assenza.
