Tra i romanzi di Tahar Ben Jelloun Il matrimonio di piacere (Le mariage de plaisir, 2016, trad. di A.M. Lorusso, La nave di Teseo 2016) non è certo il migliore: soffre di quell’impulso all’educazione dei lettori che lo scrittore marocchino-francese sta chiaramente manifestando in questi ultimi anni, un impulso che si è tradotto in libri apertamente didattici, come L’Islam spiegato ai nostri figli. Da un punto di vista strettamente formale, il romanzo mi sembra scritto affrettatamente e mal organizzato, e i personaggi mancano di profondità. Quel che sta a cuore a Ben Jelloun è chiaramente fare un discorso sull’Africa e sulle migrazioni, e soprattutto sul razzismo, facendone vedere l’estensione ben oltre l’Occidente. Razzisti appaiono qui soprattutto i Marocchini (che in Europa sono a loro volta oggetto di razzismo da parte nostra – e a questo proposito ricordo che dai Veneti intorno agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso marocchini venivano chiamati gli Italiani dal Lazio in giù, come testimoniato da Antonio Pennacchi, e come ho trovato anche nel taccuino di prigionia di mio padre). Ed è questo l’aspetto più interessante del libro, che dovrebbe essere letto da molti al di là delle sue imperfezioni: l’onnipervasività del razzismo nelle sue manifestazioni più o meno accese e feroci. Nel Marocco di Ben Jelloun i Marocchini si percepiscono come bianchi, e considerano inferiori i neri, che vedono come gente fatta per la schiavitù (che nel Paese se non di diritto esiste di fatto, come forse avviene anche nelle terre in cui da noi si raccolgono i pomodori). Sotto la species di un romanzo un po’ claudicante una meditazione che val la pena di continuare in proprio.
