La legge di natura di Kari Hotakainen (Luonnon laki, 2013, trad. dal finlandese di N. Rainò, Iperborea 2015) è tra i romanzi che ho faticato a finir di leggere. Non mi capita spesso, ma neppure tanto raramente. Sono un libero lettore, nulla mi vincola nei comportamenti, nelle scelte, nelle preferenze, e nei giudizi. Il gusto è sovrano, qui, e il mio si allontana molto dal grottesco, che in questo romanzo svolge una parte importante. Io ho sempre detestato il grottesco, non è nelle mie corde né nelle mie papille gustative intellettuali. Detto questo, non posso evitare di notare come la corporeità nella storia narrata giochi un ruolo fondamentale: il protagonista, un evasore fiscale (vi è un elemento di critica sociale), subisce un gravissimo incidente stradale che lo riduce in fin di vita e lo costringe ad un lungo ricovero in ospedale e ad una successiva riabilitazione, che non sappiamo come finirà. Sua figlia è incinta e vicina al parto. I suoi due vecchi genitori soffrono in diversa misura entrambi gli acciacchi e le infermità che sono propri dell’età avanzata. Il corpo, le sue esigenze e limiti, e i limiti della mente che dal corpo dipende. Nell’ultima parte della narrazione compare un simpatico giovane africano, un adottato a distanza, un tempo bambino al quale il protagonista ha inviato soldi per un bel po’ di anni, come si fa in questi casi, che ora adulto è venuto in Finlandia a fare il narcotrafficante. Penso che temi e personaggi non si incastrino bene tra loro, e chiudo.
