Sandor Goodhart è un girardiano di ferro, profondamente persuaso, uno che scrive che «un giorno le teorie di René si porranno come il fulcro dal quale tutte le altre teorie potranno essere comprese» (p. 87). The Prophetic Law (Michigan State University Press 2014) presenta un lungo sottotitolo che dà immediatamente conto della complessità del testo: Essays in Judaism, Girardianism, Literary Studies, and the Ethical. Si tratta di scritti vari, e a volte addirittura di relazioni su dibattiti a convegni, che tuttavia sono ordinati in modo da offrire un senso generale, che è fondamentalmente questo: il tentativo da parte dell’autore, uno tra i primi seguaci di Girard e tra questi uno dei pochi israeliti, di inserire il girardianesimo, come una posizione profetica del tutto coerente, nel grande spirito del profetismo ebraico. Il personale cristianesimo di Girard, con la sua enfatizzazione del ruolo decisivo e insostituibile di Gesù nello smascheramento del meccanismo sacrificale nascosto fin dalla fondazione del mondo, rappresenta infatti certamente un ostacolo all’accoglimento della teoria mimetica nel suo insieme da parte di coloro che, pur attratti dai suoi punti fondamentali, vogliono rimanere fedeli alla propria religione (o al proprio ateismo, aggiungerei). Per abbattere questo ostacolo, Goodhart svolge una raffinata serie di analisi di testi, soprattutto della Scrittura ebraica, direi con spirito rabbinico e con grande apertura mentale. Il fine è quello di mostrare che Gesù non aggiunge nulla di sostanziale al Giudaismo, ma ne è uno dei possibili inveramenti. Interessanti soprattutto lo studio della storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, e quella di Mosè, svolte con una rigorosa applicazione delle categorie mimetologiche girardiane. La figura di Gesù è vista poi come quella di un grande profeta che ha talmente assimilato la profezia di Isaia e la figura del Servo Sofferente da decidere di incarnarle, fino alla morte, e ad una conseguente resurrezione che è una sorta di fulminante evento nella coscienza dei discepoli, che squarcia dopo la morte del maestro l’illusione della realtà sacrificale in cui fino a quel momento erano stati immersi (p.88) .
Gesù è da Goodhart totalmente inserito nell’orizzonte profetico ebraico, e i cristiani sono legittimati, nonostante duemila anni di conflitti, come una componente, per così dire di un ebraismo universale. Nello stesso tempo, tuttavia, Goodhart asserisce che il girardianesimo è praticabile entro qualsiasi cultura, perché svela la verità di tutte, e quindi nessuno dovrebbe rinunciare alla propria, che piuttosto va vista in una nuova ottica. Un’opera già iniziata dallo stesso Girard con le sue riflessioni sul superamento del sacrificio nell’induismo, ma senz’altro ancora molto immatura.
Noto infine come degne di attenzione le parti del libro dedicate all’instaurazione di un dialogo postumo, per così dire, tra René Girard ed Emmanuel Levinas, in cui è in questione la fondazione dell’etica (un punto sul quale Girard non ha scritto molto). Il discorso di Goodhart approda a questa conclusione: «La soggettività nel modo in cui la descrive Levinas e il pensare attraverso la posizione della vittima nel modo descritto da Girard sono una sola e unica cosa.» (p. 227)