Nella mente di ogni persona adulta abitano parole che richiamano aspetti e scene della fanciullezza, diciamo dei primi dieci anni di vita. Per lo più si tratta di parole comuni, talvolta interessanti solo per l’accento con cui venivano pronunciate da qualcuno, o per il contesto. Le più interessanti sono quelle strane, desuete, poco frequentate. Un esercizio piacevole è andare a ripescarle, anche se spesso riemergono spontaneamente, come ben si sa. Sono sempre legate ad immagini e sensazioni che colpirono la nostra fantasia di bambini. Negli anni Cinquanta mio padre comprava regolarmente il settimanale Epoca, che conteneva spesso articoli di divulgazione scientifica, con illustrazioni. Quando avevo sette od otto anni, uscì una serie sulla preistoria, che potei leggere, e che rilessi poi per anni (mio padre faceva rilegare gli inserti). Un termine tra gli altri mi si fissò nella mente: proconsul. Proconsul africanus, un primate del miocene, presentato come un remoto antenato dell’uomo. Ricordo anche che non fu possibile parlarne coi compagni di classe, scarsamente interessati alla paleontologia. Non essendo autistico, tuttavia, capivo le loro ragioni. Condividevamo molti altri interessi.

Epoca degli anni ’50-’60. Giornalismo davvero di altri tempi. Le conversazioni di Ricciardetto (una finestra sulla cultura l’erudizione la fame di sapere la ricerca la filosofia la religione (senza la spocchia di uno Scalfari o di un Odifreddi…). I reportage sulla corsa alla luna. I viaggi di Walter Bonatti. Rispetto agli Espressi e ai Panorami di oggi, un vero abisso.