Il museo dell’innocenza

Il museo dell'innocenza

L’ha realizzato davvero il suo Museo dell’innocenza, Orhan Pamuk ad Istambul. Un museo di oggetti semplici, quotidiani, maniacalmente collezionati, che rivelano anche lati ossessivi, come le migliaia di mozziconi di sigaretta esposti.  Il romanzo (trad. it. di   Barbara La Rosa Salim, Einaudi 2009) è legato al museo reale, un intreccio che lo rende unico nella storia della letteratura mondiale. Ma unicità non significa grandezza, e a mio modo di vedere questo non è un romanzo grande, a parte la mole. La voce narrante è quella del protagonista Kemal, inizialmente un trentenne ricco imprenditore, mentre lo stesso Pamuk è tra i personaggi secondari e alla fine assume un ruolo decisivo. La storia, che inizia nel 1975, è quella dell’amore devastante di Kemal per Füsun, inizialmente bella commessa diciottenne, aspirante attrice. Kemal sta per celebrare un fastoso fidanzamento ufficiale con la sua ragazza, Sibel, che ha tutte le doti per essere la donna della sua vita: bella, intelligente, colta, innamorata, compassionevole e pronta anche a sacrificarsi per lui. Ma lui si innamora di Füsun, e inizia una breve intensa relazione, progettando anche di continuarla dopo il matrimonio con Sibel, cui non intende comunque rinunciare. Commette una sorta di peccato di tracotanza, e ne riceve la punizione: dopo la festa di fidanzamento Füsun scompare. Lui la cerca disperatamente, sta male, e per mesi fa soffrire la povera Sibel che in tutti i modi cerca di aiutarlo. Infine la ritrova che vive nella casa dei genitori ma ormai è moglie di un giovane sceneggiatore, sposato nella speranza di realizzare il sogno di diventare una diva del cinema turco. Per anni e anni Kemal frequenta quella anonima dimora piccolo-borghese nella speranza di riconquistare Füsun, giungendo a creare una propria casa cinematografica, e in questo lasso di tempo colleziona maniacalmente tutto ciò che lei tocca e che di cui lui può impossessarsi, compresi tutti i mozziconi di sigarette da lei fumate. Siamo nell’innocenza o nella patologia? Alla fine gli oggetti confluiranno nel museo di cui si è detto. La fine della storia è in qualche modo imprevedibile e apparentemente accidentale, ma non incoerente. Füsun infatti ha accumulato una carica di risentimento che infine non può che esplodere: Kemal per lei è sempre stato solo l’uomo ricco che volendo avrebbe potuto aprirle la porta del cinema, e non lo ha fatto. Kemal di questo risentimento non si accorge minimamente.
Domanda: che cos’ha Füsun da farla preferire a Sibel? Lei è bella, ma anche Sibel lo è, e in più ha un sacco di doti che Füsun non ha. Dire che l’amore è cieco ovviamente è dire che non si è in grado di capire quale sia il movente reale. Pamuk non scende nel profondo, ma invita a indagare sul collezionismo, dal quale in tutta evidenza anche lui non è esente. E sull’innocenza, che necessariamente richiama la colpa. Temo che qui ci sia un’aura di psicoanalisi, dalla quale rifuggo. Tuttavia, se l’innocenza è legata agli oggetti, essi in quanto costruiti e usati dagli umani, che innocenti non sono, nel farsi trama di significazioni l’innocenza la perdono, anche perché la stessa qualità di oggetto è attribuita dal soggetto umano. E di certo Kemal non è innocente nelle sue scelte e nei suoi comportamenti, a cominciare dalla sua dedizione al bere. Tracanna raki dalla mattina alla sera, si rifugia continuamente nell’ubriachezza, e questo, unito alle sue compulsioni, lo rende un personaggio tra i più sgradevoli, almeno ai miei occhi. Il suo museo davvero non mi attrae. Come il romanzo, tuttavia, può offrire una veduta sulla vita ad Istambul dal 1975 ai primi anni del nuovo millennio.

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