Hypatia

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La traduzione mia lentissima e non fedele inizia oggi così:

A trecento miglia da Alessandria. Sulle basse colline dell’entroterra, dove la sabbia continuamente si muove. Là è seduto un giovane monaco. Alle sue spalle il deserto immensa distesa, senza vita senza misura, abbacinante riflesso sull’orizzonte della volta senza nuvole di blu. Non sta ferma ai suoi piedi la sabbia, rivoletti gialli che scendono, mulinelli di fumo giallo dietro di lui, brezze dell’estate potente.
In basso c’è una stretta valle, e sulla parete di pietra che sta di fronte si vedono caverne che sono tombe, e grandi cave antiche, con colonne e obelischi incompiuti, abbandonati dagli operai dei secoli passati. La sabbia scende e si accumula intorno ad essi, le loro cime sono coperte di arida neve. Ovunque silenzio. Desolazione. La tomba di una nazione morta in una terra che muore.
E là lui sta seduto, gioioso, sopra tutto questo, pieno di vita giovinezza e salute e bellezza. Un giovane Apollo del deserto.

 

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