Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum.
Bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam.
La realtà è questa: il pontificato nel mondo globale è infinitamente più gravoso di un tempo. Impegni di ogni genere e viaggi faticosi, che ai predecessori di Giovanni Paolo II erano ignoti. Non sono più pontificati per vecchi, se non a rischio di apparire disumani. L’abbandono di Benedetto significa per me l’affermazione del valore prioritario della persona umana e della sua dignità universale. In questa universalità rientra anche chi ricopre il ruolo di papa. Questo gesto è anche un gesto di positiva desacralizzazione, un gesto cristianissimo. Complessivamente, l’opera di Ratzinger, come teologo, come inquisitore e come papa non mi è piaciuta molto: mi è sembrata stare sempre sotto l’ombra della paura dell’infedeltà al dogma. Il suo gesto finale, invece, mi sembra pregno di forza spirituale, nella debolezza di un corpo in via di spegnimento. Solo, mi resta un dubbio: Scola ha avuto un ruolo in questo esito?
… e Nanni Moretti? ;-)