Se qualcuno è interessato ad una meditazione sul cristianesimo come non-religione, qui può scaricare un mio scritto.
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Chiesa
Curia
La Curia romana, cui il papa ha rivolto un discorso di inaudita durezza, porta su di sé lo stigma della sua origine: potere romano, non Vangelo. Questo discorso di Bergoglio è direttamente legato ad un altro inauditum: le dimissioni di Benedetto XVI, che solo uno sprovveduto può pensare motivate ingravescente aetate. Oggi mi capita di trovarmi d’accordo con Vito Mancuso, cosa che non avviene spesso: la Curia è un parto del papato, l’inevitabile creazione dei papi pontefici (pontifex, altra parola del linguaggio religioso-politico della Roma pagana). Mancuso oggi si chiede, e me lo chiedo anch’io, dove siano stati tutti questi papi santi dell’ultimo secolo, così vicini a Dio in quanto santi, mentre intorno a loro si diffondeva, si insinuava, formicolava tutto questo. Non vedevano? Non capivano? Erano santi ingenui o papi politici? O non avevano forze sufficienti per affrontare il drago nella sua caverna? Infine è vero: il problema della Curia è il problema del pontificato romano, cioè del potere dentro la Chiesa, delle sue incarnazioni e dei suoi travestimenti. Quanto ad una purificazione di questo organismo, lunghi secoli hanno dimostrato che è impossibile. Una Curia sarà sempre una Curia.
Tempio e mercanti
Il giro d’affari che si è generato intorno alla figura di papa Francesco è smisurato, ed infinito è il numero dei gadgets in circolazione che ne portano l’immagine. Il fenomeno è grandioso, i suoi connotati variano nel tempo, ma esso non è affatto nuovo, nel senso che le sue radici affondano nelle origini stesse della religio, che è innanzitutto un rapporto di scambio tra l’umano e il divino, e di scambio tra umani in rapporto al divino. Basti pensare che le carni degli animali che i romani sacrificavano agli dèi finivano sul mercato (e ciò metterà in crisi i primi cristiani: è lecito mangiare le carni degli animali sacrificati agli idoli?). Mi pare che nel mondo cattolico non vi sia mai stata una riflessione approfondita su questo tema. Penso tuttavia che si possa formulare la seguente massima: un papa che predichi e viva la povertà darà luogo inevitabilmente a un indotto commerciale superiore a quello generato da un papa che non la predichi. Massima che vale per tutti i santi. Sappi che ovunque tu costruirai un tempio, là si raduneranno i mercanti, e questo accadrà fino alla fine dei tempi.
Un ebreo marginale
Opera immensa sotto ogni aspetto, Un ebreo marginale (A Marginal Jew. Rethinking the Historical Jesus, 1991) di John P. Maier costituisce una pietra miliare per chiunque sia interessato alla figura di Gesù in quanto immersa nella storia e non nel mito. Ne ho letto il primo volume, Le radici del problema e della persona (trad. it. di L. de Santis, Queriniana 2001), e ne leggerò i rimanenti. Libero dalle aporie della Leben Jesu Forschung, Meier utilizza la sua grande dottrina per portare il lettore nella storicità di Gesù, filtrando i dati con acume critico, rigore metodologico, competenza filologica e totale libertà da qualsiasi preconcetto. Grandioso l’apparato di note, rimandi e approfondimenti di questioni a latere, nello stesso tempo prosa piana e comunicativa. Un grande maestro, un vero ripensamento.
Cito due passi, il primo dei quali è una giustificazione della ricerca storica su Gesù anche di fronte alla teologia, il secondo una sintetica cronologia della vita di Gesù.
«In realtà, l’utilità del Gesù storico per la teologia è che egli sfugge a tutti i nostri accurati programmi teologici; li mette tutti in discussione rifiutando di entrare negli schemi che creiamo per lui. Paradossalmente, benché la ricerca sul Gesù storico sia spesso collegata, nella mentalità popolare secolare, con ‘rilevanza’, la sua importanza consiste precisamente nei suoi contorni strani, scoraggianti, imbarazzanti, sgradevoli sia per la destra che per la sinistra. A questo riguardo, almeno, Albert Schweitzer era corretto. Più apprezziamo ciò che Gesù significò nel suo tempo e nel suo spazio, più ci sembrerà ‘alieno’.
Propriamente compreso, il Gesù storico è un baluardo contro la riduzione della fede cristiana, in generale, e della cristologia, in particolare, a un’ ‘importante’ ideologia di qualsiasi genere. Il suo rifiuto di farsi intrappolare da qualunque scuola di pensiero è ciò che guida gli studiosi a intraprendere nuovi percorsi; di conseguenza, il Gesù storico rimane uno stimolo costante per il rinnovamento teologico. Per questa sola ragione, il Gesù della storia merita le fatiche della ricerca, comprese le fatiche iniziali per determinare categorie, fonti e criteri affidabili, il modesto scopo della prima parte.» (pp. 189-190)
«Gesù di Nazaret nacque–più verosimilmente a Nazaret e non a Betlemme–nel 6 o 7 a.C. circa, qualche anno prima della morte del re Erode il Grande (4 a.C.). Dopo un’educazione non straordinaria in una famiglia devota di contadini giudei nella bassa Galilea, fu attratto dal movimento di Giovanni Battista, che cominciò il suo ministero nella valle del Giordano verso la fine del 27 d.C. o all’inizio del 28. Battezzato da Giovanni, subito, per conto suo, Gesù cominciò, agli inizi del 28, il suo ministero pubblico, quando aveva circa trentatré o trentaquattro anni. Alternò regolarmente la sua attività tra la nativa Galilea e Gerusalemme (inclusa l’area circostante della Giudea), salendo alla città santa per le grandi feste, quando grandi folle di pellegrini potevano garantire un uditorio che altrimenti non avrebbe potuto raggiungere. Questo ministero si protrasse per due anni e pochi mesi.
Nel 30 d.C., mentre Gesù era a Gerusalemme per l’approssimarsi della festa di pasqua, evidentemente ebbe la sensazione che la crescente ostilità delle autorità del tempio di Gerusalemme nei suoi confronti stesse per raggiungere il culmine. Celebrò un solenne banchetto di addio con il gruppo più ristretto dei suoi discepoli un giovedì sera, il 6 aprile secondo il nostro computo moderno, l’inizio del quattordicesimo giorno di nisan, il giorno della preparazione di pasqua, secondo il computo liturgico giudaico. Arrestato nel Getsemani nella notte tra il 6 e il 7 aprile, dapprima fu esaminato da alcuni capi giudei (meno verosimilmente dall’intero sinedrio) e poi consegnato a Pilato venerdì, 7 aprile di buon mattino. Pilato, rapidamente, lo condannò a morte per crocifissione. Dopo essere stato flagellato e schernito, Gesù fu crocifisso, fuori Gerusalemme, nello stesso giorno. Morì la sera di venerdì, 7 aprile 30. Aveva circa trentasei anni.» (pp. 411-412)
Critica della teologia politica
Un libro di grande spessore, ricco nei riferimenti teologici e filosofici, rigoroso nell’argomentazione e nell’apparato critico, è questo di Massimo Borghesi Critica della teologia politica (Marietti 2013). Il campo vi è occupato in buona parte dallo scontro tra la visione di Carl Schmitt e quella di Erik Peterson, dei quali Borghesi analizza acutamente le tesi e i loro sviluppi in altri autori, sullo sfondo dei grandi mutamenti in atto nel mondo e nella Chiesa nel corso di due millenni e dell’ultimo secolo. La questione in gioco è fondamentale, e si annoda alla vicenda della grande Chiesa in Occidente nel suo legame con la politica e lo Stato: per Borghesi, col Vaticano II e anche grazie a pensatori come Ratzinger, decisamente schierato con Peterson nell’affermare che «il cristianesimo si oppone all’identificazione tra “regno di Dio” e programma politico» (p.88), « … è la riattualizzazione della tradizione ecclesiale dei primi secoli che consente la valorizzazione della lezione moderna. Il Vaticano II, nel suo riconoscimento del diritto alla libertà religiosa, chiude una tradizione dei rapporti Chiesa-mondo, quella post-teodosiana che si prolunga nel Medioevo e in parte della modernità. Al contempo ne riapre un’altra, quella della sua tradizione più antica e più autentica, propria dell’età precostantiniana» (p.60). Il pericolo che il cristiano corre da sempre è quello della gnosi e del manicheismo, dal quale salva, ancora una volta, Agostino. Così, vi è un mortale rischio di teo-manicheismo (p. 185), manifesto in Schmitt, ma presente anche in molta teologia del Novecento (Borghesi si confronta con Metz, Moltmann, ecc.), da cui può salvare solo chi lo ha conosciuto bene nella sua capacità seduttiva, e lo ha superato. Borghesi ha ben presente l’impossibilità di far coincidere fede e religione (pp. 276-277), pena gravi fraintendimenti anche del senso dei grandi sommovimenti storici degli ultimi decenni, e nello stesso tempo si interroga criticamente, sulla scorta di pensatori come Habermas e Böckenförde, sulla questione della possibilità che le virtù politiche richieste dalla democrazia necessitino dell’apporto di una dimensione religiosa, senza la quale la democrazia stessa potrebbe afflosciarsi (p 312). Mi chiedo se ci siano in giro politici abbastanza colti da essere in grado di leggere e meditare questo eccellente libro.
Il Dio di Gesù Cristo
Questo di Walter Kasper, Il Vangelo di Gesù Cristo, Queriniana 2011, non è tanto una cristologia quanto un’ecclesiologia, ovviamente cristocentrica. Direi che potrebbe essere utile a chi volesse avere un’idea non superficiale del pensiero teologico dell’attuale papa Bergoglio, per una certa curvatura che differenzia–limitatamente invero–Kasper, notoriamente apprezzato da Francesco, dal Ratzinger teologo. Il Vangelo di Gesù Cristo non è un testo unitario, risultando dall’unione di tre scritti diversi, cronologicamente separati e successivamente rivisitati: l’unità è data dalla ispirazione post-conciliare, da una visione in cui la Chiesa si mantiene ancorata saldamente alle sue verità fondative, distinguendo tuttavia l’essenziale permanente dalle incrostazioni storiche e dai principii disciplinari transeunti, in una permanente apertura al mondo. Tra i molti passi interessanti ne colgo uno che offre il sapore del tutto.
«Il concilio Vaticano II può essere inteso in un certo senso come distacco da questa mentalità di restaurazione diretta contro l’epoca moderna. È ovvio che una tale apertura non è possibile senza crisi. Così facendo la chiesa sembra rinunciare a ciò che sin qui costituiva la sua forza e rappresentava un’attrattiva per molti spiriti attenti, ma che la faceva anche la patria di tutti coloro che cercavano sicurezza. Una forte ripresa di tendenze restauratrici resta per il momento decisamente esclusa. La restaurazione, invero, non può mai essere una soluzione. Quando l’autorità è stata posta una volta in discussione, la si può fondare solo sulla base di argomenti. Ma ogni argomento addotto solleva a sua volta nuove questioni. Anche il punto di vista dell’autorità, dunque, è corroso dallo spirito dell’illuminismo. Oggi la pura e semplice restaurazione non è una possibilità. A noi è possibile solo un rapporto critico – cioè negativo – nei confronti dell’autorità. L’autorità deve oggi dimostrare di essere in funzione della libertà. Ciò significa che noi oggi dobbiamo cercare una mediazione critica e creativa tra la fede e il pensiero moderno, tra la chiesa e la società moderna.» (pp. 19-20)
La mia religione 17
Καὶ ἔρχεται ἡ μήτηρ αὐτοῦ καὶ οἱ ἀδελφοὶ αὐτοῦ καὶ ἔξω στήκοντες ἀπέστειλαν πρὸς αὐτὸν καλοῦντες αὐτόν. καὶ ἐκάθητο περὶ αὐτὸν ὄχλος, καὶ λέγουσιν αὐτῷ· ἰδοὺ ἡ μήτηρ σου καὶ οἱ ἀδελφοί σου [καὶ αἱ ἀδελφαί σου] ἔξω ζητοῦσίν σε. καὶ ἀποκριθεὶς αὐτοῖς λέγει· τίς ἐστιν ἡ μήτηρ μου καὶ οἱ ἀδελφοί [μου]; καὶ περιβλεψάμενος τοὺς περὶ αὐτὸν κύκλῳ καθημένους λέγει· ἴδε ἡ μήτηρ μου καὶ οἱ ἀδελφοί μου. ὃς [γὰρ] ἂν ποιήσῃ τὸ θέλημα τοῦ θεοῦ, οὗτος ἀδελφός μου καὶ ἀδελφὴ καὶ μήτηρ ἐστίν.
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano”. Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”. Continua a leggere
La mia religione 16
Καὶ ἔρχεται εἰς οἶκον· καὶ συνέρχεται πάλιν ὁ ὄχλος, ὥστε μὴ δύνασθαι αὐτοὺς μηδὲ ἄρτον φαγεῖν. καὶ ἀκούσαντες οἱ παρ’ αὐτοῦ ἐξῆλθον κρατῆσαι αὐτόν· ἔλεγον γὰρ ὅτι ἐξέστη. Καὶ οἱ γραμματεῖς οἱ ἀπὸ Ἱεροσολύμων καταβάντες ἔλεγον ὅτι Βεελζεβοὺλ ἔχει καὶ ὅτι ἐν τῷ ἄρχοντι τῶν δαιμονίων ἐκβάλλει τὰ δαιμόνια. Καὶ προσκαλεσάμενος αὐτοὺς ἐν παραβολαῖς ἔλεγεν αὐτοῖς· πῶς δύναται σατανᾶς σατανᾶν ἐκβάλλειν; καὶ ἐὰν βασιλεία ἐφ’ ἑαυτὴν μερισθῇ, οὐ δύναται σταθῆναι ἡ βασιλεία ἐκείνη· καὶ ἐὰν οἰκία ἐφ’ ἑαυτὴν μερισθῇ, οὐ δυνήσεται ἡ οἰκία ἐκείνη σταθῆναι. καὶ εἰ ὁ σατανᾶς ἀνέστη ἐφ’ ἑαυτὸν καὶ ἐμερίσθη, οὐ δύναται στῆναι ἀλλὰ τέλος ἔχει. ἀλλ’ οὐ δύναται οὐδεὶς εἰς τὴν οἰκίαν τοῦ ἰσχυροῦ εἰσελθὼν τὰ σκεύη αὐτοῦ διαρπάσαι, ἐὰν μὴ πρῶτον τὸν ἰσχυρὸν δήσῃ, καὶ τότε τὴν οἰκίαν αὐτοῦ διαρπάσει. Ἀμὴν λέγω ὑμῖν ὅτι πάντα ἀφεθήσεται τοῖς υἱοῖς τῶν ἀνθρώπων τὰ ἁμαρτήματα καὶ αἱ βλασφημίαι ὅσα ἐὰν βλασφημήσωσιν· ὃς δ’ ἂν βλασφημήσῃ εἰς τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον, οὐκ ἔχει ἄφεσιν εἰς τὸν αἰῶνα, ἀλλ’ ἔνοχός ἐστιν αἰωνίου ἁμαρτήματος. ὅτι ἔλεγον· πνεῦμα ἀκάθαρτον ἔχει.
Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “È fuori di sé”. Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: “Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni”. Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: “Come può satana scacciare satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l’uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna”. Poiché dicevano: “È posseduto da uno spirito immondo”. Continua a leggere
Lumen Fidei
Ho letto la Lumen Fidei con molta attenzione. La prima enciclica di Francesco è (forse) l’ultima di Benedetto, e lo si vede ad ogni riga. Il papa emerito infatti, se le forze della sua aetas ingravescens lo consentiranno, resterà di certo il consulente teologico primo del papa regnante. Ma di che stupirsi? Tra papi ci sono discontinuità nei modi, ma non nella sostanza. Eppure, i modi possono in qualche modo farsi sostanza, non certo dogmatica, ma pastorale. Una sostanza modale, per così dire. E questo propriamente si vede nel pontificato di Francesco.
L’idea di fondo della Lumen Fidei è che il mondo è minacciato alla radice dal relativismo, e la fede àncora l’umanità alla solida roccia che è Dio, mediante il Salvatore Gesù Cristo, mediante la Chiesa. Ci sono due punti, nell’enciclica, in cui mi pare che possa delinearsi una certa problematicità nel rapporto tra fede e società. O piuttosto nel rapporto fede-religione-società: «Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata». (55) Da un lato si richiama qui la funzione ancestrale della religione (unire il gruppo umano), dall’altro emergerebbe un certo integralismo. Se non si intende “fede in Dio” latissimo sensu. L’altro passo è il seguente: «La sofferenza ci ricorda che il servizio della fede al bene comune è sempre servizio di speranza, che guarda in avanti, sapendo che solo da Dio, dal futuro che viene da Gesù risorto, può trovare fondamenta solide e durature la nostra società». (57) Qui il problema è cosa si intenda per nostra società, ed è il problema dell'”autonomia del mondano”, dal Concilio in poi una questione ineludibile, anche se presente nel Cristianesimo fin dalla sua origine.
La mia religione 15
Καὶ εἰσῆλθεν πάλιν εἰς τὴν συναγωγήν. καὶ ἦν ἐκεῖ ἄνθρωπος ἐξηραμμένην ἔχων τὴν χεῖρα. καὶ παρετήρουν αὐτὸν εἰ τοῖς σάββασιν θεραπεύσει αὐτόν, ἵνα κατηγορήσωσιν αὐτοῦ. καὶ λέγει τῷ ἀνθρώπῳ τῷ τὴν ξηρὰν χεῖρα ἔχοντι· ἔγειρε εἰς τὸ μέσον. καὶ λέγει αὐτοῖς· ἔξεστιν τοῖς σάββασιν ἀγαθὸν ποιῆσαι ἢ κακοποιῆσαι, ψυχὴν σῶσαι ἢ ἀποκτεῖναι; οἱ δὲ ἐσιώπων. καὶ περιβλεψάμενος αὐτοὺς μετ’ ὀργῆς, συλλυπούμενος ἐπὶ τῇ πωρώσει τῆς καρδίας αὐτῶν λέγει τῷ ἀνθρώπῳ· ἔκτεινον τὴν χεῖρα. καὶ ἐξέτεινεν καὶ ἀπεκατεστάθη ἡ χεὶρ αὐτοῦ. Καὶ ἐξελθόντες οἱ Φαρισαῖοι εὐθὺς μετὰ τῶν Ἡρῳδιανῶν συμβούλιον ἐδίδουν κατ’ αὐτοῦ ὅπως αὐτὸν ἀπολέσωσιν.
Entrò di nuovo nella sinagoga. C’era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Mettiti nel mezzo!”. Poi domandò loro: “È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?”. Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: “Stendi la mano!”. La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. Continua a leggere