La rivoluzione protestante

La rivoluzione protestante. L'altro Cristianesimo

Il titolo originale del saggio di William G. Naphy è The Protestant Revolution: From Martin Luther to Martin Luther King jr. (2007, trad. it. di A. Zampieri, Raffaello Cortina Editore 2010). Naphy segue con un’eccellente sintesi il processo secolare che dai prodromi quattrocenteschi porta a Lutero e al successivo germinare di gruppi e movimenti riformatori nell’ambito della Cristianità. Il punto nodale è quello che si riassume chiaramente nelle ultime righe del saggio: decisiva nel Protestantesimo è la liquidazione dell’elemento intermedio tra il credente e Dio. Tutto consegue da questo, nel bene e nel male. Il libro si chiude così:

«Dando a ciascuna persona il suo fardello per le proprie convinzioni o azioni, [il Protestantesimo] ha fatto entrare nell’umano consorzio l’incentivo per l’azione immediata da parte di ciascuno. Questo non ha significato, però, la libertà; al contrario, in un senso molto concreto, ha forgiato catene ancora più salde. Nessuno aveva più la scusante per sedersi tranquillamente e lasciare la sua fede in mano ad altri, a dei mediatori come i preti, i vescovi, i concili o i papi. Questa nuova fede richiedeva anzi esigeva attenzione personale e impegno del singolo. Proprio questa necessità di agire doveva condurre agli innumerevoli scismi entro il Protestantesimo; ma ha anche procurato una forza dinamica che ha guidato la cultura e la società dell’Occidente non solo a un’attenta introspezione, ma anche a mutamenti rapidi e radicali.
L’assenza di un meccanismo autoritativo significa che il Protestantesimo non può essere una Chiesa nel senso in cui lo è il Cattolicesimo Romano. Ciò significa anche che un tipo come Martin Luther King non dovette stare ad aspettare l’approvazione di questo o quello per la promozione del suo pensiero: semplicemente, lo pose sul libero mercato delle idee e vinse grazie ai suoi meriti. Fu persuasivo ed efficace esattamente perché aveva avuto il coraggio di sfidare la maggioranza protestante USA a ritornare alla propria Bibbia, ai propri documenti “secolari” di base, sfidandola a trovarvi una qualsiasi giustificazione dell’odio razziale e della discriminazione. Coloro che prestarono orecchio alla sfida di Martin Luther King compresero bene la responsabilità personale implicata nel leggere e decidere autonomamente. Sì, Martin Lutero, secoli prima, non aveva mirato all’introduzione dell’individualismo; ma così è andata. Comunque, l’individualismo protestante non coincide col fare ciò che si vuole, è invece un monito circa il pesante e terrificante carico della responsabilità individuale per le proprie credenze e azioni. La sfida protestante è allora quella di spingere i suoi aderenti a stare da soli di fronte alla Bibbia, come un sacerdote di fronte a Dio. Ha sostituito il meccanismo dell’autorità con la ricetta per il disordine. Nel far così, ha inavvertitamente spinto donne e uomini a una cittadinanza attiva e partecipata, nel quadro di un rinnovato Regno di Cristo.» (p. 283)

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